Dopo aver parlato del suicidio della figlia Mary, realizzato grazie alle tecniche circolanti sul web e promosse da associazioni a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito, Nancy Valko, dell’Associazione Nazionale delle Infermiere pro lifeamericane, ha svelato i costi reali di queste norme e il flagello di morte contagiosa che producono.
Partendo dall’Oregon, dove ormai il suicidio assistito è legale da vent’anni, la giustificazione che viene data da oltre la metà dei pazienti che lo richiedono è quella di essere “un peso per la famiglia, gli amici e gli assistenti sanitari” (dati 2016). Il 35 per cento di loro, invece, parla di “inadeguato controllo del dolore o di preoccupazione per lo stesso”. Insomma, la norma che prevede la possibilità di farsi uccidere per mano dei medici in caso di “malattia terminale” dà la possibilità di uccidere indiscriminatamente chi lo voglia. Basti pensare che fra le malattie, secondo i dati governativi dell’Oregon Death with Dignity Act, viene inclusa la scoperta di un “tumore possibile o benigno” di generiche “malattie respiratorie”, di “malattie al sistema nervoso (inclusa la sclerosi multipla, il Parkinson e la malattia di Hungtinton)…epatiti virali, diabete mellito, malattie cerebrovascolari, malattie al fegato causate dall’alcolismo”.
Con la scusa che è il paziente a decidere, i medici possono anche agire senza controlli, così come i parenti o i tutori del malato (magari incosciente), mostrando la falsità dell'”autodeterminazione”. Visto che l’uomo, sopratutto se malato, dipende sempre dagli altri uomini a lui vicini che possono guardarlo con amore o con disperezzo coperto da falsa carità. Valko prosegue poi chiarendo che “è scioccante che nel 2016 solo il 3,8 per cento di coloro che chiedono al medico il suicidio assistito in Oregon siano stati sottoposti prima ad una valutazione psichiatrica”. Anzi, “i pazienti affetti da demenza o da depressione presente da anni prima di contrarre una malattia fisica sono morti grazie alla legge dell’Oregon”.
Inoltre, un articolo del 2015 del Southern Medical Journal intitolato “Come la legalizzazione del suicidio assistito influisce sui tassi di suicidio? I tassi di suicidio non assistito in Oregon e a Washington dopo l’approvazione delle leggi sul suicidio assistito”. L’infermiera spiega quanto svelato dall’articolo: “Nonostante le affermazioni secondo cui le leggi sul suicidio assistito riducono gli altri suicidi o li sostituiscono, gli autori hanno raggiunto la preoccupante conclusione che è vero “piuttosto che l’introduzione del Pas (Suicidio assistito medico) sembra causare più morti autoinflitte di quante non ne inibisca”. Esattamente come accadde per l’aborto legale, che invece che diminuire gli aborti clandestini ha amplificato sia quelli fai-da-te sia quelli ospedalieri, diffondendo una cultura della morte che toglie ogni inibizione di fronte all’omicidio.
In effetti, continua infatti la donna, “questo non mi sorprende. Nel 2009 mia figlia Marie, trentenne e fisicamente sana, è morta per suicidio. Si è suicidata usando una tecnica imparata dopo aver visitato siti Web di suicidio/suicidio assistito e dopo aver letto Final Exit (1991) di Derek Humphry, fondatore della Hemlock Society (un’organizzazione che si è fusa con un altro gruppo per formare Compassion & Choices [associazione pro eutanasia, ndr]). Il medico legale definì il suo un suicidio “da manuale di Final Exit”. Di fatto, “in aggiunta al dolore della nostra famiglia, almeno due persone vicine a Marie si sono suicidate non molto tempo dopo. Fortunatamente, sono state salvate, ma il contagio suicida…è un fenomeno ben documentato. Spesso la copertura mediatica o pubblicità intorno ad una morte può incoraggiare altre persone vulnerabili a suicidarsi”. Tanto che il tasso di suicidi dell’Oregon è superiore del 40 per cento rispetto alla media nazionale e che, fino a poco tempo fa, uno dei limiti (ormai ignorati) alla libertà di stampa era proprio questo.
Infine, ha chiarito Valko, smentendo la credenza secondo cui il problema dell’eutanasia è quello delle risorse sanitarie dovute al prolungamento della vita (basti pensare a quanti soldi si spendono per l’aborto, il cambio di sesso, la fecondazione assistita etc. per cui le risorse si trovano sempre), “il suicidio costa alla società oltre 56 miliardi di dollari all’anno in costi combinati di spese mediche e di perdita del lavoro, per non parlare dell’enorme peso del suicidio per le famiglie e gli amici”.
Infine è chiaro che, “indipendentemente da ciò che sostiene Compassion & Choices, il suicidio assistito per mano medica non è un diritto civile o solo una delle opzioni del fine vita moralmente neutre”. Perciò “è ora di alzarsi in piedi e di combattere per impedire alla professione medica di abbandonare i suoi princìpi etici più fondamentali”, quelli di sostenere, curare, accompagnare e lottare per la vita dei suoi malati”.
Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it
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