Come è possibile che negli Usa si verifichi uno scontro letale fra fascisti e antifascisti, in quel di Charlottesville (Virginia) con una vittima e 19 feriti? Gli Usa non hanno mai vissuto sotto una dittatura fascista, né di qualsiasi altro colore. E’ semplicemente contrario alla loro storia vedere militanti che fanno il saluto romano. Tantomeno ha senso un movimento antifascista resistenziale che, per colori, simboli e slogan, scimmiotta la sua controparte italiana. Che cosa sta succedendo?
I fatti in breve: a Charlottesville, a una manifestazione di estrema destra, iniziata venerdì sera, che includeva anche il Ku Klux Klan, gli antifascisti americani hanno risposto con delle contro-manifestazioni. Sabato mattina c’è stata un’escalation. Il corteo antifascista si è scontrato con militanti di destra, nonostante gli sforzi della polizia (che ha dovuto annullare i permessi di manifestare). Alla fine si sono registrati 15 feriti da entrambe le parti. Ma alle 2 del pomeriggio, ora locale, un’auto, guidata da un ventenne di nome James Fields, si è lanciata a tutta velocità contro il corteo antifascista, con il chiaro intento di provocare una strage. E’ un atto di terrorismo interno. Una donna di 32 anni, Heather Heyer è la vittima. Altri 19 manifestanti sono rimasti feriti. I media puntano il dito contro Trump. Lo accusano esplicitamente di non aver condannato inequivocabilmente l’estrema destra. Considerando che la vittima era in un corteo di sinistra, questa accusa dei media a Trump è pertinente. La stampa accusa Trump anche di aver sdoganato l’estrema destra e dunque di essere, implicitamente, responsabile dello scontro letale di sabato. Ma quest’ultima è fuori luogo. La causa della violenza è precedente all’amministrazione Trump.
L’origine dello scontro è un monumento. A Charlottesville è stato proposto di rimuovere la statua equestre del generale Robert E. Lee, comandante in capo dell’esercito del Sud, nella Guerra Civile Americana (1861-1865). Era da aprile che la destra locale protestava contro questa idea. Nella manifestazione di venerdì, la destra, riunita attorno alla sigla di Unite the Right, emanazione della Alt Right (la destra, organizzata soprattutto su Internet, che ha sostenuto la campagna di Donald Trump), aveva l’originario intento di difendere la libertà di espressione. Alla fine, però, di libertà se ne è vista poca e in compenso il corteo si è riempito di neo-nazisti, Ku Klux Klan e suprematisti bianchi. Dall’altra parte della barricata si erano dati appuntamento da tutta America movimenti di estrema sinistra e Black Lives Matter, la versione anni 2000 del Black Power.
Come mai uno scontro così violento e ideologico attorno a una statua dedicata a un personaggio storico di un secolo e mezzo fa? Il visitatore europeo può rimanere molto sorpreso nel vedere così tanti omaggi ai vinti della Guerra Civile. In Italia, ad esempio, sarebbe impensabile trovare monumenti nel Centro e nel Sud dedicati ai generali pontifici e borbonici che combatterono contro i Savoia e Garibaldi. In Italia lo sforzo politico e culturale, per un secolo e mezzo, è consistito in una capillare opera di unificazione tramite rieducazione, che include la “damnatio memoriae” dei nemici del Risorgimento. Gli Usa, al contrario, sono e restano un paese federalista. Nel 1861 la federazione si lacerò sui valori fondamentali, sia sulla schiavitù (che il Sud voleva preservare), sia sui diritti degli Stati alla loro piena autonomia e autogoverno (che il Nord voleva ridimensionare, quando non sopprimere). Per ricucire la lacerazione dopo cinque anni di guerra, 650mila morti e un periodo di occupazione dura degli Stati del Sud, si giunse a una sorta di compromesso culturale. Ciascuno Stato celebra i suoi caduti. Libri e film di successo come Via col Vento e monumenti e musei dedicati alla memoria degli eroi della Confederazione, sono la manifestazione di questa pacificazione culturale. O meglio: erano.
A rompere l’equilibrio è stata la sinistra progressista americana. Che ha deciso di comportarsi all’europea. Nel nome dell’antirazzismo, ha decretato la damnatio memoriae dei sudisti, la rimozione (quando e se possibile) dei monumenti a loro dedicati, mentre le bandiere confederate vengono ammainate. Non è solo la sinistra a volerlo, ma anche parte della destra segue l’esempio. Non dimenticando che fu il Partito Repubblicano quello di Lincoln, del Nord e, dagli anni ’50 del Novecento, anche quello dei diritti civili contro la segregazione razziale. E’ stata Nikki Haley, attuale ambasciatrice all’Onu nell’amministrazione Trump, a far ammainare la bandiera confederata di fronte al suo palazzo di governatore della South Carolina.
La sinistra e i repubblicani anti-razzisti hanno però, volutamente o meno, ideologizzato la storia. Hanno trasformato la memoria della più sanguinosa guerra americana in una lotta, ancora attuale, contro il razzismo. E quindi, l’ideologizzazione promossa dalle autorità, ha permesso agli estremisti ideologici di scendere in campo. A sinistra, sul fronte dell’anti-razzismo, è nato e cresciuto il movimento nero Black Lives Matter. Obama, negli anni della sua seconda amministrazione (2012-2016) ha sempre mostrato una certa tolleranza nei suoi confronti, anche dopo le manifestazioni più violente. Nemmeno dopo l’uccisione di cinque poliziotti a Dallas, nel 2016, il presidente Obama ha condannato fermamente il clima di odio creato dagli estremisti di sinistra. E allora i media (gli stessi media che oggi condannano la condiscendenza di Trump nei confronti della destra) non ebbero nulla da contestare. Questo “clima infame” ha fatto riemergere un mostro speculare e opposto: il razzismo bianco, che pareva confinato nei libri di storia e che invece, almeno negli ultimi due anni, ha ricominciato a mobilitarsi, prima solo sul Web, poi anche nelle piazze. Così, a causa della lotta fra razzismo e anti-razzismo, gli Usa iniziano a conoscere, con quasi un secolo di ritardo, la lotta fra “fascisti” e “antifascisti”. In un paese che non ha mai vissuto il totalitarismo sulla sua pelle.
di Stefano Magni | Lanuovabq.it
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