Diluvio e guerra, binomio impossibile?

Se l’estate 2017 sarà ricordata, in Italia, come la più ”torrida” da oltre un secolo, in Nepal, India e in Sierra Leone accade l’esatto contrario, poiché è l’enorme quantità di acqua caduta dal cielo che sta segnando drammaticamente questi giorni: infatti, le piogge torrenziali che hanno colpito la regione del Chitwan, del Bangladesh e dell’Africa Occidentale hanno causato morte e devastazione ovunque.

In Nepal, 110 hotel sono stati inondati dai fiumi Rapti e Bhudi Rapti che hanno bloccato in albergo 600 turisti (molti sono italiani). Quarantanove i morti accertati, 17 i feriti e 36 i dispersi. In Bangladesh sono 14 le vittime, tre le persone disperse e circa 125mila gli sfollati; secondo il Dipartimento Disaster Management il numero delle persone coinvolte dalle inondazioni si aggira attorno al mezzo milione, e la zona più colpita è quella del distretto di Dinajpur. In Sierra Leone (Africa Occidentale) sono almeno seimila le persone rimaste senza casa a Freetown, nel quartiere della capitale spazzato via dal crollo della collina che domina la città; il bilancio ufficiale delle vittime è di 312 persone, ma si teme che tutta la popolazione sia rimasta sepolta dalle tonnellate di fango perché la montagna è franata quando tutti dormivano. La città sembra un cimitero a cielo aperto, per i cadaveri che affiorano sotto la melma! Tuttavia, se in Nepal e India le inondazioni fan parte del corso naturale dei monsoni, in Sierra Leone le alluvioni sono solo una delle “piaghe” che affliggono questa terra, dato che nel 2014 fu il virus Ebola a mietere vittime: difatti, il territorio è uno fra i paesi più poveri del mondo spesso soggetto a colera e malaria a motivo della penuria di acqua potabile e di malattie varie. Secondo la FAO e l’ONU, il numero delle persone che soffriranno la fame nei prossimi anni aumenterà vertiginosamente dopo questi ultimi tragici avvenimenti, sicchè non possiamo ritenere le calamità che accadono in ogni parte del pianeta come semplici fatti marginali; personalmente, credo che stiamo entrando in maniera lenta, progressiva e silenziosa nelle fasi che precederanno la Grande Tribolazione di cui parla il libro dell’Apocalisse, nonostante molti cristiani forse non se ne accorgono. Ma cos’altro deve succedere di così “apocalittico”, dopo le inondazioni e il caldo torrido, per renderci conto che siamo testimoni impotenti di una natura in piene doglie? Passando dal fronte climatico a quello politico, i “rumori di guerra” (Matteo 24:7) nel mondo si fanno sempreppiù seri e minacciosi, per via dei toni di sfida del dittatore coreano Kim Jong-un (Corea del Nord) verso l’America e i suoi alleati, complice il sostegno – al momento solo diplomatico – di Cina e Russia che, di certo, non amano la politica occidentale degli Usa e dell’Europa. Ricordo al lettore che la Prima Guerra Mondiale scoppiò con la dichiarazione di guerra dell’Impero Austro-Ungarico alla Serbia, in seguito all’assassinio dell’Arciduca Ferdinando D’Asburgo nel giugno del 1914, evento che contrappose due blocchi militari l’uno contro l’altro, mentre la seconda Guerra Mondiale scaturì dopo l’attacco della Germania di Hitler alla Polonia (1939) che poi coinvolse tutti gli altri paesi europei. Da due semplici fatti di cronaca, apparentemente insignificanti, son poi nati due dolorosi conflitti mondiali.

Oggi siamo testimoni di una “guerra di parole” fra Donald Trumph e Kim Jong-un, ma siamo sicuri che resteranno sempre minacce verbali? Se Paolo apostolo ci esorta a vegliare sul “Giorno del Signore”, avvenimento profetico che si compirà dopo che il mondo, all’unisono, avrà alzato al cielo il grido universale di “pace e sicurezza” (1^ Tsl. 5.3), che senso avrebbe oggi cercare la pace se viviamo in tempo di pace? E se le minacce verbali attuali di questi due “re della terra” fossero segni premonitori di questo desiderio mondiale di “sicurezza e tranquillità” di cui fa cenno la scrittura? Solo Dio, che conosce i cuori, può saperlo.

Salvatore Di Fede | Notiziecristiane.com


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