Il premio Nobel per la pace, condannato ingiustamente a 11 anni di carcere nel 2009, è in fin di vita per un cancro. Ma lasciandolo morire, il partito comunista accelera la caduta del regime.
Il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo è prossimo alla morte, che potrebbe sopraggiungere «nelle prossime 24 ore». È quello che hanno comunicato due giorni fa alla famiglia i medici dell’ospedale di Shenyang (Liaoning) dove l’attivista perseguitato è ricoverato per un cancro al fegato allo stadio terminale. Secondo diversi attivisti cinesi, come Ye Du, l’annuncio dei medici potrebbe non essere un indicatore affidabile: «In Cina simili annunci vengono fatti spesso quando le condizioni del paziente sono critiche, ma a volte è solo un modo per l’ospedale di mettere le mani avanti», ha dichiarato a Radio Free Asia. Al momento però le cure chemioterapiche sono state sospese perché rischiano di «danneggiare ulteriormente il fegato» e vengono somministrati solo antidolorifici.
NEMICO PUBBLICO NUMERO UNO. Liu Xiaobo è considerato dal regime comunista cinese il nemico pubblico numero uno. Il giorno di Natale del 2009 è stato condannato ingiustamente per «incitamento alla sovversione del potere statale» a 11 anni di carcere. A maggio, dopo che per anni sono state ignorate le sue condizioni di salute in continuo deterioramento, gli è stato diagnosticato un gravissimo cancro al fegato e solo da pochi giorni è stato fatto uscire dal carcere per sottoporsi a un trattamento tardivo. Centinaia di attivisti, insieme alla comunità internazionale, hanno chiesto al governo di lasciarlo libero di recarsi in Occidente per ricevere cure adeguate. Ma il permesso non è stato accordato. Al contrario, forse per salvare la faccia, Pechino ha invitato esperti dalla Germania e dagli Stati Uniti per visitarlo. Ma a causa di problemi burocratici, non se n’è ancora fatto nulla.
«ORMAI È TROPPO TARDI». Il partito comunista ha fatto uscire Liu di prigione per cercare di salvarsi in extremis dall’accusa di averlo lasciato morire in detenzione. Ma le autorità non possono nascondersi dietro a un paravento. Come dichiarato il giorno seguente alla sua scarcerazione temporanea dalla moglie Liu Xia, agli arresti domiciliari dal 2010, cioè da quando Oslo ha conferito il Nobel al marito, «ormai è troppo tardi». La malattia infatti è a uno stadio troppo avanzato per regredire. Anche se il partito crede di ottenere una grande vittoria attraverso l’eliminazione fisica di quello che ritiene essere il suo più grande nemico, si tratta di una vittoria di Pirro.
PIAZZA TIANANMEN. Liu Xiaobo, 61 anni, è una delle personalità più significative della cultura cinese contemporanea. Di famiglia cristiana, dopo aver ottenuto due lauree e un dottorato in Cina, è stato chiamato da diverse università americane e norvegesi a insegnare. Rientrato a Pechino nel 1989 per partecipare alle proteste di Piazza Tiananmen come uno dei leader, riuscì a convincere molti degli studenti a lasciare la piazza per evitare un massacro dopo la decisione del governo di reprimere la protesta nel sangue con l’esercito.
CHARTA 08. Arrestato ripetutamente per il suo attivismo, per i suoi scritti e per le sue esplicite richieste al governo di concedere libertà di pensiero ed espressione al popolo, nel 2000 ha aiutato Ding Zilin a fondare il movimento delle Madri di Piazza Tiananmen. Nel 2008 ha scritto insieme ad altri intellettuali e attivisti Charta 08, il manifesto sulla democrazia in Cina. Il testo, ispirato alla famosa Charta 77 redatta dai dissidenti cecoslovacchi guidati da Vaclav Havel (che lo candidò al Nobel), chiede il rispetto della «libertà, che è al cuore dei valori umani universali», dei «diritti umani», dell’uguaglianza, di un sistema repubblicano, dello stato di diritto e della Costituzione, che Liu e gli altri hanno sempre chiesto di riscrivere per porre fine «alla farsa comunista».
XI JINPING AL G20. Mentre Liu Xiaobo sta per morire a causa della politica repressiva e criminale del partito, sorvegliato dalla polizia in un ospedale di Shenyang, dove solo alla moglie è permesso visitarlo, il segretario del partito comunista e presidente della Cina Xi Jinping mostra la sua faccia sorridente e benevola al G20 di Amburgo, stringendo la mano di Angela Merkel, firmando ricchi contratti economici e facendosi portavoce della globalizzazione come se niente fosse. Sembrerebbe l’immagine perfetta della sconfitta di Liu e della vittoria del regime. Ma non è così.
«IO NON HO NEMICI». L’attivismo di Liu è sempre stato caratterizzato dalla lotta non violenta, che lui descriveva così: «La grandezza della resistenza non violenta consiste nel fatto che, anche quando un uomo si trova davanti alla tirannia e alle sofferenze che ne derivano, la vittima risponde all’amore con l’odio, al pregiudizio con la tolleranza, all’arroganza con l’umiltà, all’umiliazione con la dignità e alla violenza con la ragione». È diventata famosa la frase, spesso male interpretata come resa, che ha pronunciato davanti ai giudici che lo stavano condannando ingiustamente a 11 anni di carcere: «Io non ho nemici». Le foto che lo ritraggono smagrito e inerme, mentre si fa imboccare dalla moglie, sono la dimostrazione fisica di come Liu abbia accettato di farsi consumare da questa lotta. Eppure il partito comunista è terrorizzato da quest’uomo così debole, tanto che impedisce agli amici di andarlo a trovare e non gli permette di curarsi in modo adeguato. Lasciandolo morire con accanimento feroce il partito comunista crede di sbarazzarsi finalmente del suo nemico più pericoloso. Ancora non si rende conto che dalla feconda e generosa testimonianza di Liu nasceranno dieci, cento, mille personalità come lui. Gli esempi coraggiosi di Chen Guangcheng, Gao Zhisheng, Hu Jia lo dimostrano. Pechino ha trasformato Liu Xiaobo in un eroe e un martire della libertà di coscienza, l’ennesimo, e questo non farà altro che accelerare la caduta del regime.
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