La ricerca di una dialettica produttiva tra diritti universali e religioni.
La Cassazione ha respinto con una sentenza datata 15 maggio la richiesta di un cittadino indiano di religione sikh, di portare un coltello kirpan nella cintura (lungo circa 18 cm., il coltello rappresenta una delle «cinque k», dalla lettera iniziale di cinque simboli alla cui osservanza sono tenuti gli aderenti alla sua religione). Al di là degli obblighi di legge e della necessità di tutelare la pubblica sicurezza, necessità resa più che mai evidente dai casi di stragismo e terrorismo fondamentalista, che sono però altra cosa, il caso sembra essere uno di quelli in cui l’amministrazione della giustizia viene a svolgere anche un ruolo lasciato scoperto da altri.
La pratica di qualunque religione non può andare a contrastare con la sicurezza dei cittadini e nemmeno con i diritti dei singoli cittadini (e soprattutto delle cittadine! – pensiamo alle mutilazioni genitali), e una società non può essere costituita da «camere stagne» entro le quali gli appartenenti a diverse religioni abbiano concetti diversi dei diritti e della legge, come si legge anche nell’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo citata nella sentenza: «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può̀ essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società̀ democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui». Finché parliamo di leggi e di diritti irrinunciabili, non si può derogare: i «principi fondamentali» sono quelli enunciati in apertura della nostra Costituzione e chiunque li deve rispettare.
Chiamare in causa i «valori» della «società ospitante» a cui fa riferimento la Cassazione (Corriere della sera, 16 maggio) mi sembra un po’ vago: qui, oltre a coloro che anche nelle nostre chiese lavorano per il dialogo fra persone di diverse religioni e culture, oltre alle scuole che fanno un lavoro encomiabile in tal senso, dovrebbe farsi avanti la politica, quella «alta», però, quella che riesce a ragionare senza spirito di parte sulle modalità della vita sociale e della convivenza, sulla crescita di tutti e tutte come partecipi di una società che favorisca il dialogo. Quando si parla di «valori» mi sento smarrito, e penso che la Bibbia e la fede in Gesù Cristo ci insegnano a non farci un assoluto di nessuna delle nostre creazioni e costruzioni.
Foto di David Davies, con licenza CC BY-SA 2.0, via Flickr
di Alberto Corsani | Riforma.it
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