“In otto mesi 2.802 unioni civili […]. Non c’è che dire: decisamente un flop”. A dirlo non è il sito del Comitato Difendiamo i nostri figli né quello delle Sentinelle in piedi bensì Repubblica, giornale non certo sospetto di partigianeria filo-cattolica. 2.800 unioni civili a pochi giorni dal primo compleanno della Cirinnà, legge varata il 20 maggio del 2016. Secondo i dati ufficiali del Coni per l’anno 2105 gli atleti che praticano il canottaggio a sedile fisso sono 3.082. Gli uniti civilmente superano di sole 100 unità gli atleti del twirling. Fate un po’ voi. Eppure ogni unione civile anche nel più sperduto paesino della bassa si merita un articolo di giornale. Forse perché è proprio fenomeno raro.
A metà gennaio avevamo già commentato il flop di questa legge. Oggi come allora ribadiamo che anche se le persone omosessuali sono percentualmente poche rispetto a quelle eterosessuali, 2.800 unioni civili sono un magro bottino per le falangi delle milizie gay, tenuto conto che le persone omosessuali dovrebbero essere circa un milione. Sempre pochine anche considerando che non tutti gli omosessuali vogliono sposarsi.
E così dopo un anno abbiamo solo otto unioni in Calabria, sei in Valle D’Aosta, due in Basilicata, una in Molise. La città che guida la classifica è Milano con 354 unioni. Numeri che fanno quasi tenerezza nelle loro esiguità. Come avevamo già fatto notare in più occasioni l’impennata di unioni civili o “nozze” gay negli altri paesi del mondo avviene nei primi mesi sia per l’effetto incentivante massmediatico che per mesi ha puntato i riflettori su questo fenomeno. In breve: tutti ne parlano, perché non ci uniamo anche noi? Finito il clamore muore anche l’interesse per la novità. Sia per un effetto accumulo: tutti coloro che da anni aspettavano di “sposarsi” lo fanno contemporaneamente appena ne hanno la possibilità.
Finalmente anche Repubblica lo ammette: “Il flusso delle unioni fino a dicembre — 2.433 — dimostra che chi voleva ufficializzare la sua unione, che magari andava avanti da anni, lo ha fatto subito. Poi il numero cala repentinamente”. Quindi da agosto a dicembre la crescita, poi le unioni civili precipitano in caduta libera: da dicembre ad oggi solo 400 unioni. Il trend fa prevedere che il treno del para-matrimonio gay rallenterà sempre più la sua già debole corsa per arrestarsi a breve.
A gennaio l’on. Cirinnà proprio a Repubblica se la prese con il clima dicendo che appena fosse arrivata la primavera le unioni civili sarebbero sbocciate come margherite al sol di aprile, perché in genere ci si sposa in primavera. Insomma niente panico, solo un malanno di stagione passeggero. A parte che ormai ci si sposa tutto l’anno dato che i matrimoni civili, quasi al sorpasso di quelli religiosi, non devono rispettare il calendario liturgico, c’è da constatare che siamo a maggio inoltrato e nulla è cambiato.
Eppure furono migliaia i giovani gay che con i colori di guerra arcobaleno dipinti sulla faccia e i corpi nudi scesero nelle piazze italiane per rivendicare il “diritto a sposarsi”. Dove sono finiti? Sempre l’on. Cirinnà spiegò che buona parte delle unioni civili è stata contratta da persone che avevano urgenza e da persone anziane. In buona sostanza le unioni civili sono un piatto ghiotto per chi vuole avere alcuni benefit economici e fiscali (pensioni, accesso all’edilizia popolare, etc.). Altro che amore, è solo questione di soldi. Invece i giovani “innamorati” gay non ci pensano proprio ad unirsi civilmente così come avviene nelle altre parti del mondo. Questo perché la persona omosessuale vive la propria relazione soprattutto sul piano erotico e quindi è portato alla promiscuità. Non fanno per lui legami duraturi e soprattutto formalizzati. Sono gabbie al piacere e alla libertà sessuale tanto sbandierate nei gay pride.
Tutte cose ben note alla Cirinnà. Allora perché tanto accanimento nel promuovere le unioni civili? E’ sempre la stessa onorevole ad ammetterlo, facendo cenno alle lettere che riceve, con quel candore che è tipico di chi è cosciente di vivere in una botte di ferro immune dagli attacchi dei media, tutti dalla sua parte: “Molti [giovani ] scrivono che l’importante era conquistare un diritto”. Parole che fanno eco a quelle Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, il quale nel libro intervista “Gay. Molti modi per dire ti amo”, curato da Sabelli Fioretti, dichiarò: “L’esistenza di una legge che consenta alle persone omosessuali di accedere all’istituto del matrimonio o agli istituti equivalenti non implica l’obbligo di usarla. Basta che ci sia. Se poi uno vuole la usa, se non vuole non la usa. L’esistenza di un diritto non obbliga di avvalersi di questo diritto”.
La legge sulle unioni civili prima di sancire il diritto alle “nozze” gay ha sancito che l’omosessualità è un bene giuridico. L’intento primario era ufficializzare la condizione omosessuale, riconoscerla come socialmente normale e naturale anche per bocca dello Stato. In questo senso – come ha ammesso in modo adamantino lo stesso Grillini – poco importa che nessuno si avvalga di questo diritto, l’importante è l’esistenza stessa di questo istituto perché rappresenta il vessillo giuridico-politico a presidio dell’omosessualità, la certificazione formale istituzionale della bontà di essere omosessuali.
di Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it
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