“E il Signore andò alla ricerca dell’uomo perduto… la parabola della moneta perduta”. (Lc. 15:8-10)
“Chi cerca trova” è un detto proverbiale popolare dal sapore evangelico (cfr.Mt 7:7-8), che esalta la caparbietà, l’ostinata insistenza, la pazienza di chi, animato da buone intenzioni, non demorde nel raggiungere gli obiettivi che si è prefisso, esorcizzando l’immobilismo fatalista, evitando di rimanere con le mani nelle mani, a ciondolarsi o a crogiolarsi al tepore del fuoco scoppiettante del caminetto del perbenismo e dell’arrivismo accomodante.
Ed è proprio quello che fa il Signore, che è alla ricerca dell’uomo perduto.
La parabola della moneta perduta enfatizza la ricerca paziente, amorevole, ostinata, caparbia del Signore dell’uomo senza speranza. E’ la seconda delle tre parabole del capitolo quindicesimo dell’Evangelo di Luca, dedicato propriamente al ministerio evangelistico di Gesù verso i reietti e gli emarginati. Questo grande trittico parabolico si rivela essere una risposta apologetica di Gesù ai suoi critici dell’establishment della religiosità ebraica (cfr. Lc 15:1-2). Gesù reagisce al mormorio degli Scribi e dei Farisei con una geniale capacità narrativa di storielle, che contengono un messaggio salvifico rivolto non ai sani e ai giusti, ma agli ammalati e ai peccatori (cfr. Lc 5:31-31; Lc 19:10).
Ecco cosa muove Dio nell’evento Gesù, salvare ciò che è perduto.
Il verbo greco “apollymi” (perdere) è una parola costante dell’intero capitolo,le cui parabole seguono uno schema tripartito (perdere, cercare, ritrovare), terminando con una identica affermazione di gioia suscitata dalla conversione dei peccatori.
La parabola della moneta perduta è una variante di quella della pecora smarrita, dove si notano affinità e differenze. In entrambe le parabole agiscono personaggi poco onorevoli secondo la sensibilità della religiosità ufficiale (un pecoraio, anche se è benestante, e una massaia povera). Di più, getta sconcerto nell’uditorio di Gesù il fatto che la protagonista della storia sia una donna, che rappresenta la gioia di Dio per un peccatore trovato e salvato.
Le affinità sono evidenti:i due protagonisti delle parabole gemelle perdono una pecora e una moneta. Entrambi li cercano. Entrambi, le trovano, suscitando una gioia incontenibile e condivisa con il vicinato. Le uniche differenze vanno colte sia nel protagonista (nella prima parabola il protagonista è un uomo, nella seconda parabola, invece, è una donna) sia nella manifestazione della gioia da parte di Dio (nella prima parabola si parla di “Cielo”, il luogo dove la gioia è evidenziata, nella seconda si parla degli Angeli come la Corte celeste che gioisce). Va anche considerata una sfumatura di ordine sociale ed economico:
Nella prima parabola il pastore è un benestante, possiede uno apprezzabile capitale investito nella pastorizia. Nella seconda parabola, la massaia non è ricca, possiede solo dieci dramme, sapendo che una dramma equivale a un denaro, cioè l’equivalente del salario quotidiano di un operaio agricolo (cfr. Mt20:2). E’ comprensibile l’ardore e la tenacia nel cercare la dramma. E’ accentuata la perdita. Infatti, perdere una dracma su dieci è più grave di una pecora su cento. Questo particolare indica che il racconto parabolico è un crescendo drammatico, in cui prevale la persistenza e l’accuratezza della ricerca. Il racconto parabolico della moneta perduta è simile a un dramma teatrale in tre atti, in cui si evidenzia l’accensione della lampada in pieno giorno, lo spazzare la casa, cercando accuratamente e il ritrovamento che contrassegna una gioia incontenibile fino al pianto, risaltando la fatica e il laborioso risultato della fatica della ricerca. Ma a quale costo! L’organizzare una festa supera il valore della dracma perduta. La parabola della moneta perduta, come d’altra parte anche le altre due parabole del Cap. 15 abbattono le barriere della religiosità formale e dottrinale e si schiudono alla misericordia e all’amore divino.
La parabola, che si trova solo in Luca, è divisa in due parti:
La prima parte espone un antefatto, cioè la perdita della dracma, dando vita alla minuziosa ricerca della donna.
La seconda parte espone la incontenibile manifestazione di gioia per il ritrovamento della dracma perduta.
In questa parabola Dio si rivela come Colui che cerca l’uomo perduto e gioisce se lo trova. Si può parlare di parabola del Regno, perché il Regno si è notevolmente avvicinato all’uomo nell’evento di Gesù, prendendo coscienza della sua condizione di perduto, liberato dal peso di dover superare con le sue proprie forze il suo smarrimento. Il ritrovamento è metanoia, conversione del peccatore
Nella parabola della moneta perduta vi è il concetto della drammatica alienazione dell’uomo da Dio, egli non ha alcuna relazione vitale con Lui. L’uomo è sotto la signoria del peccato, esso è attivo e progressivo. l’uomo schiavizzato dal peccato segue la legge interiore della innata autonomia e inimicizia per Dio. Dio è paragonato a una donna preoccupata per ciò che perso e che cerca con meticolosità e la gioia che ne deriva per averla trovata è traboccante e straripante. La conversione è un dono elargito da Dio, è la scoperta di una nuova relazione con Dio attraverso il ministerio di Gesù, che trova il suo compimento nella sua crocifissione e nella sua resurrezione, determinando una nuova creazione per coloro che hanno ascoltato e creduto (2^Cor. 5:17-21)
La parabola della moneta perduta è l’espressione della gioia divina (cfr. Gal 5:22), che segue all’invito della conversione: gioisce tutta la corte celeste. La conversione è il radicale cambiamento dell’uomo conseguenza dell’amore di Dio. Qui prevale l’amore di Dio che cerca l’uomo perduto prima che si penta.
Ma oggi i cristiani gioiscono veramente, o meglio, partecipano alla gioia celeste quando un uomo si pente e piega le ginocchia davanti al Signore della Vita? Non vi è forse una rifioritura del mercimonio delle cose sacre, di cui la vendita delle conversioni facili è una tragica espressione mercenaria? Forse non prevale lo spirito farisaico nell’approcciarsi alle persone di dubbia moralità con toni censori? Non prevale forse il disgusto e il disappunto per gli uomini considerati la feccia della società? La parabola vuole allora mettere in all’erta i cristiani, affinché non cadano nella stessa apatia dei Farisei e che, al contrario, si vestono della stessa amorevolezza e apprensione di Gesù nel cercare le persone perdute.
Riscoprire l’amorevole spirito missionario di Gesù da parte dei cristiani odierni è un imperativo ineludibile.
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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