In un mondo occidentale che ormai ha rifiutato pervicacemente l’esistenza di Dio e conseguentemente anche del diavolo, stupisce che si parli del demonio proprio nel tempio del diritto dove ad essere preponderanti dovrebbero essere le ragioni della legge degli uomini. E invece Belzebul con il suo tragico carico di corna e possessioni ha fatto capolino proprio tra le aule del palazzo di giustizia di Milano dove per la prima volta ad essere sul banco degli imputati era lui, l’angelo ribelle, anche se in contumacia. La notizia è stata data dal Corriere della Sera con quel misto di incredulità e sorpresa tipica di chi, imbevuto di morale positivista, fieramente rifiuta queste chiacchiere da donnetta. Ma per i giudici della IX sezione civile del tribunale di Milano quello del diavolo non è più un concetto astratto, ma un qualche cosa di presente e inquietante.
La notizia è una causa di divorzio. Il marito stanco dei continui atteggiamenti strani della moglie tra cui comportamenti ossessivi chiede il divorzio. All’udienza per la separazione i giudici si trovano, letteralmente, un diavolo per capello nel decidere quanto la donna sia consapevole di aver arrecato sofferenze al matrimonio in frantumi. E dopo perizie su perizie che hanno coinvolto psichiatri e persino esorcisti della diocesi di Milano devono gettare la spugna: la donna non è responsabile del divorzio perché i fenomeni di cui è vittima sono esterni e non dipendenti dalla sua volontà. Si fa strada nella testa dei giudici l’idea che la donna sia realmente posseduta da un demonio. E si arriva alla sentenza: la donna è posseduta, quindi non ha colpe nel divorzio, al marito andrà la casa e a lei un assegno di mantenimento che l’ex marito si rifiutava di darle.
Finisce così, con i giudici che alzano le mani di fronte all’imponderabile. Che c’è di strano? Per chi ha vita di fede l’esistenza del demonio non deve stupire poi più di tanto. D’altra parte è o non è il principe di questo mondo? Ma per il mondo laicista e anticlericale è un concetto impossibile da considerare. Perché allora i giudici hanno gettato la spugna? Forse perché ci sono cose che non solo non si riescono a spiegare, ma di fronte alle quali bisogna arrendersi.
Insomma: il diavolo cerca moglie e lascia la sua firma su un divorzio. Accade così a tanti, solo che l’assenza di possessioni o ossessioni impedisce di vedere che è il diavolo che si dà da fare per distruggere tutti i matrimoni, non solo quelli dove il marito si rifiuta di pagare gli alimenti all’ex coniuge perché strana. Se i giudici avessero ascoltato i continui appelli degli esorcisti avrebbero compreso come il principale scopo del diavolo sia quello di allontanarci da Dio. Come? Distruggendo la famiglia. Un’opera che la legislazione sul divorzio ha aiutato fornendo terreno fertile e brodo di coltura.
Un attacco che lo stesso diavolo, interpellato da un’esorcista, ha detto di voler portare a compimento per adempiere a quella sfida lanciata a Dio nel giorno in cui tentò Eva e che non potrà che finire con la sua testa finalmente schiacciata. Una verità di fede che si incontra con la laica, fredda e imperturbabile ragione? Può darsi, ma forse qui c’è anche il riconoscere da parte del tribunale un principio di evidenza che però i giudici non applicano quando le evidenze sono altre, vedi strappare un bambino dal seno della propria madre per affidarlo a quello di uomini egoisti dal ricco conto in banca.
Certo, da un tribunale che sentenzia in nome del popolo italiano non ci si può aspettare che sappia scandagliare l’animo umano, ma se ci pensiamo bene fa un po’ terrore questa sentenza: tocca un tasto delicatissimo, tremendo e immenso della lotta tra il Bene e il Male che esiste fin dal giorno in cui Dio creo la terra. Ma lo tocca con quel misto di sufficienza e superstizione tipico di chi, dopo averle provate tutte deve arrendersi ad accettare anche questa opzione nella variegata miscellanea di esperienze umane. In fondo, che il diavolo esista o no, le armi con le quali un consesso di toghe lo può affrontare saranno sempre insufficienti.
Perché al fondo di questa sentenza se cambia l’imputato, che diventa il cornuto, deve cambiare per forza anche la vittima, che è ravvisabile nella povera donna. La quale sicuramente soffrirà letteralmente le pene dell’inferno per quella possessione e sicuramente avrebbe avuto bisogno di un po’ più di amore e compassione che un freddo decreto di divorzio con il quale le si dice in sostanza: ecco l’atto di ripudio, vattene al diavolo.
Che cuor di leone questi giudici: ammettono l’esistenza del diavolo, ma se ne gurdano bene dal combatterlo.
Nessuno può impancarsi a giudice di nessuno e sicuramente in quella famiglia deve essere entrato un seme di male ad un certo punto del quale non si può imputare esclusivamente un solo coniuge. Ma ecco, quello che ci manca in questa sentenza è uno sguardo di speranza e di amore verso quella che è pur sempre una sofferenza inimmaginabile.
Indemoniata e abbandonata con tanto di decreto del tribunale: la storia sembra riportarci ai tempi in cui Gesù doveva ammonire i farisei sulla prima pietra da scagliare e prendersi cura con amore e compassione di una donna considerata impura. In fondo il trattamento riservato a questa sposa non è dissimile da quello dell’adultera o della samaritana: impura, vade retro.
Ma c’è giudice e Giudice e tra otto giorni potremo ricordarlo al mondo.
di Andrea Zambrano | Lanuovabq.it
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