Condannati a morte ancora prima di vedere la luce, eliminati anziché abbracciati nella loro imperfezione, solo per il fatto di avere un cromosoma in più. Il 21. Sono i bambini affetti dalla sindrome di Down a pagare le conseguenze di un mondo incapace di stare di fronte a chi lo mette davanti al mistero del limite suo, degli altri e del mondo, ricordando all’uomo che è polvere e che polvere tornerà.
E’ così che il medico islandese, Peter McParland, durante una conferenza presso il National Maternity Hospital ha dichiarato che in Islanda, “ogni singolo bambino, il 100 per cento di quelli a cui è stata diagnosticata la sindrome di Down, sono abortiti”. Infatti, ha continuato, “non ci sono nei 5 anni passati bambini nati con la sindrome di Down in Islanda”. Anche la Danimarca, secondo il quotidiano Berlingske, diventerà un paese “libero dalla sindrome di Down” entro il 2030, grazie al perfezionamento della diagnosi prenatale. Senza dimenticare che il governo danese dal 2004 ha reso “diritto” l’eliminazione degli imperfetti, portando a una diminuzione delle nascite continua (circa il 13 per cento all’anno, per cui fra il 2005 e il 2011 i neonati affetti dal disordine genetico erano del 61 per cento in meno). Lo stesso accade in Gran Bretagna dove grazie all’aborto sono diminuiti i bambini malati che i genitori accolgono consapevolmente. Anche le stime italiane vedono una forte diminuzione dei trisomici, ma è difficile fornire dati precisi, anche perché spesso non vengono registrate le cause dell’aborto.
Nel 2015 la sezione americana della Fondazione Jerome Lejeune aveva chiarito che la popolazione Down era diminuita del 30 per cento dopo l’invenzione della diagnosi prenatale e dopo la legalizzazione dell’aborto, sebbene scoraggiasse dal trarre conclusioni sulle percentuali dei piccoli uccisi in Usa essendo difficile fare calcoli rispetto ai dati disponibili. In ogni caso le cifre disponibili e le affermazioni dei medici, del mondo scientifico e politico sugli aborti dei bambini Down restano gravi. Soprattutto se si pensa che proprio nei paesi che mirano al “Down free” come la Danimarca, giudicata la nazione migliore per i più alti indici di Pil pro capite, aspettativa di vita sana, percezione della libertà di scelta e di libertà dalla corruzione, i decessi per suicidio sono così alti da superare quelli per incidenti stradali (13.4 sucidi ogni 100 mila persone contro il 5,6 per incidenti). Come a dire che al benessere, all’individualismo e all’ideale borghese raggiunto corrsiponde solo più diperazione. Come mai?
Forse una risposta la si può trovare nel fatto che quei paesi non sanno più cosa sia la bellezza della carità, ad esempio rappresentata da due giovani genitori piegati sul figlio malato e lì a ricordare loro che la vita è un mistero che sufugge al controllo umano. Oppure di una mamma che parla del suo bambino trisomico come di un “dono”, ribaltando la mentalità disperante per cui si è voluti quanto più ci si sforza di essere adeguati ad un mondo che di fatto costringe ad adeguarsi a parametri nazisti dell’efficienza e della perfezione fisica. E’ il caso dell’irlandese Anne Trainer, che ha parlato del suo primo figlio di quattro, Kevin, affetto dalla sindrome di Down e “nato grazie all’ottavo emendamento della costituzione” (l’aborto in Irlanda è incostituzionale), nonostante “i medici spaventassero me e mio marito sul futuro”. Trainer prosegue chiarendo che “i bambini come Kevin sono un regalo per tutti noi, e sono grata ogni giorni che la costituzione irlandese li protegga”. Il regalo, dunque, non sarebbe solo per sua madre e suo padre, ma per tutti. E non è assurdo se si pensa alle nostre società asettiche e individualiste dove cercando di eliminare la fragilità e l’imperfezione si è finiti per essere fra gli individui più infelici che la storia abbia mai conosciuto. Così, rincorrendo una vita senza limiti e senza morte, si elimina invece l’amore gratuito scavandosi la fossa in una terra dove ormai, per dirla alla Eliot, i “sistemi sono talemente perfetti” che non c’è “più bisogno di essere buoni”.
Per capire cosa ci si perde non accettando l’imprevisto del limite e della diversità, si può guardare a Sally Philllips. L’attrice inglese e mamma di Olly, un bambino trisomico di 12 anni, dopo le notizie sul numero di aborti e sui tentativi di migliorare la diagnostica per uccidere ancora più figli come il suo, ha girato un documentario per la Bbc, in cui spiega l’inganno di chi parla dell’handicap come di una tragedia, condannando anche i medici che spaventano le donne sulla malattia dei figli “rendendole insicure”. Poi ha chiarito: “Olly ha cambiato me e tutta la mia famiglia in meglio. Non riesce sempre a controllare gli impulsi ma questo è molto divertente, perché spesso dice esattamente quello che tutti pensano ma si vergognano di dire. E’anche incredibilmente altruista. E’ l’unico dei miei tre figli che mi chiede ogni giorno com’è andata la giornata. E’ davvero dolce e concentrato sulle altre persone. Ha davvero ricevuto un dono emotivo. Nota se le persone sono tristi quando io non mi accorgo”. Ma anche Phillips, tramite il suo documentario, vuole rivolgere una domanda a tutti: “Che tipo di società vogliamo essere?”.
Perché gridando che il re è nudo, questi malati ci liberano dal perbenismo politicamente corretto dentro cui loro non riescono a stare, riportandoci alla realtà dell’essere creature e ricordandoci che la vita è felice non quando la governiamo, ma quando è accolta, condivisa ed amata così come si presenta. Quando, appunto, ci si concede quello che oggi sta diventando un lusso per pochi: lo spettacolo della carità, ricevuta e ridonata. E’ proprio per questo che, minandone le fondamenta, il potere non può tollerare l’esistenza rivoluzionaria di un solo bimbo Down.
di Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it
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