Sono uno Scozzese che vive da trent’anni in Sardegna. Un paio, (alla Sarda), di anni fa, la squadra di rugby della Scozia è venuto nel Sud Sardegna per giocare contro l’Italia nel torneo delle 6 Nazioni, in un paese a 20km dalla capitale.
Che opportunità! Ho caricato i miei due ragazzi giovanotti in macchina, orgogliosamente indossai il mio Kilt, (la gonna Scozzese), di famiglia, e siamo partiti a fare un po di tifo ai miei “cugini” delle “Highlands” che ci onoravano della loro presenza e coraggio…
Parcheggiata la macchina, abbiamo trovato il mondo in strada. Già a due km dallo stadio gente che urlava, musica assordante e l’odore dei “caddozzoni”, (quelli che vendono i panini con la carne arrosto), formava una cappa di bontà e buon auspicio che arrivava fino alla base delle montagne circostanti.
I miei due ragazzi si erano rifiutati di dipingersi la faccia bianco e blu, (alla “braveheart”), così a posta, oltre alla marcata tinta facciale, mi son messo anche la parrucca arancione di “Wee Jimmy”, (un classico riconoscimento di uno Scozzese in trasferta, anche senza gonna). Io camminavo davanti a loro una ventina di metri, dato che avevano, (non so perché), un pochino di vergogna del loro padre. Ogni due o tre metri, la gente mi fermava per fare insieme delle foto, ed i ragazzi, (facendo finta di niente), controllavano tutto e mi seguivano a distanza.
Tutti e due hanno nomi Scozzesi, anche se sono nati in Sardegna. Tutti e due sono stati cresciuti con i valori tradizionali Scozzesi/Sardi. Anche il Sardo, come lo Scozzese, pregerà per la tua anima, benedirà il tuo cuore e le tue intenzioni, prenderà a calci il tuo collo duro, e ti offrirà sempre “una cosetta”, (che sia del Moscato, del Vermentino, dell’Ichnusa, del Cannonau, o della Grappa, anche se da noi nel freddo nordico, è solitamente solo ed esclusivamente whiskey).
“Ma sotto la gonna?” mi urlava dall’altra parte della strada una signora molto allegra (tendente all’isterismo), che non credeva ai suoi occhi” … “ solo il rossetto di tua sorella!” gli ho risposto, “ha scritto 338 46…”.
I Scozzesi, non solo per tradizione, ma più che altro per comodità, non stanno li a cercare un abbinamento di boxer o mutande da accostare in senso stilistico alla sacralità del “tartan”, (la stoffa colorata del kilt), ma l’idea del Kilt è proprio quella che in battaglia, non devi stare li a “sbragarti”, (slacciare indumenti), per soccombere a dei bisogni fisici naturali, ma che anche facendo scintillare una spada in faccia ad un nemico, o brindando in compagnia (dopo la vittoria), uno può tranquillamente lasciare andare ciò che in natura ogni tanto esige venire alla luce. (Succede specie quando si è in inferiorità numerica nel rapporto di mille ad uno, o su di lì, (non di meno), o quando uno non può perdere un brindisi per motivi (dicono), scaramantici religiosi)…
Ormai eravamo dentro lo stadio. Tutti gli spalti erano di un colore azzurro intenso. Cori di voci s’innalzavano riguardo un famoso elmo di Scipio e della sua cintura attorno ai suoi lobi. (Neanche allo stadio di Sant’Elia a Cagliari ho visto cotanta convinzione e giubilo da parte degli “Sconvolts”).
In un angolino a sudest di quel mostro in cemento, si trovava un gruppetto di tedeschi. Erano dei piloti in servizio alla base Nato distante pochi km, venuti a tifare i leoni Scozzesi. Dieci di loro gridavano a squarcia gola per cercare di tenere testa all’oceano azzurro in burrasca, mentre uno di loro si staccava di tanto in tanto per rifornire gli altri di boccali pieni di ottima birra Sarda. Mi son lanciato nel loro mezzo come un aereo in picchiata che rifornisce le truppe nascoste dietro linee nemiche, e son stato accolto come Zola che rientra a giocare a Stamford Bridge. Anche i miei ragazzi si sono aggregati a cinque metri dal loro “no fly zone”, (confine territoriale), più che altro per non perdersi, ma vedevo che qualcosa in loro stava cambiando.
I guerrieri di Maria Stuarda, (Regina Scozzese), sul campo erano impressionanti. Giganti giovanissimi, (dopo ho scoperto che era la squadra “under” 21). Statue di marmo bianco di Carrara, lentigginosi ma possenti, capelli color fuoco e anima da vendere, davano battaglia contro un altresì poderoso squadrone Italiano. Non servivano le magliette per distinguere i due, bastava il colorito della pelle, come in una scacchiera, notte contro giorno, la luce che sfidava le tenebre.
A metà tempo non avevo più la voce. I tedeschi ormai prorompevano in balli sporadici di “lederhosen” della foresta nera, schiaffeggiandosi le cosce e le spalle a vicenda, e tutto ciò che si avvicinava simpaticamente a loro. Anche un gruppetto di circa 50 locali si era unito al nostro “clan” di turisti per caso, e stava già imparando il tedesco/Scozzese, offrendoci “Su Callu, (il quarto stomaco del capretto), salsiccia e qualcos’altro che si muoveva da solo fatto in casa. Non c’era ostilità. Non c’era astio. Non c’era neanche il risultato sul tabellone a metà tempo, perché anche quello era stato disertato e l’addetto stava spuntinando con noi…
I miei due ragazzi erano diversi. Ormai anche loro si sentivano partecipe di qualcosa di più grande dei loro timori. La gente li teneva in grande stima ed onore, (d’altronde, erano gli eredi dell’unico Scozzese doc. che si era presentato per la partita)… “Forte vostro padre” gli dicevano, “ce ne vuole di coraggio” dicevano altri, “ma non è tanto normale il babbo vero?” diceva qualcuno scherzando, (penso)…
“Ah Scozia!!!” l’urlo dei miei amici di Mamoiada fece girare tutti. Un gruppo di “Grizzly” con appeso 40kg di campanacci alla schiena stava facendo breccia sulla scalinata. Qualcuno indossava ancora la loro maschera in legno scuro sul suo volto, e per un attimo sembrava essere tornato indietro nel tempo quando l’unico “App” conosciuto per distinguere stagioni e territori erano le stelle del cielo, ed i “clan” locali costruivano i nuraghi per difenderle… “Faghère pàssàre sos istranzòs… (Fate passare i forestieri), Ayiò che ci beviamo una cosa!” La voce di Antonio era gioiosa… “dobbiamo fare due foto per la pro-loco con te”…
Il secondo tempo della partita entrò nella storia. Per me aveva vinto la Scozia, mentre ufficialmente l’Italia si era fatta onore per una volta in Sardegna. I miei figli ormai erano trasportati sulle spalle da protettori volontari consenzienti, e guai a chi si avvicinava a loro.
Era stato un pomeriggio memorabile. Incontrare vecchi e nuovi amici fa sempre piacere, specie quando a legarci è un intendimento reciproco dell’amore per la vita e la lotta alla sopravvivenza, condividendo con gli altri quel poco che si ha. In Sardegna una cosa l’ho esperimenta, ed è che la gente darebbe la vita per te senza pensarci due volte.
Tornando a casa quella sera, i miei due giovani eredi non avevano più vergogna. Il grande cantava “Scotland the Brave” a squarcia gola dal finestrino aperto per la gioia dei passanti visibilmente intimoriti, mentre il piccolo stava cercando già di disfarsi dei pantaloni…
Ci sono tre cose per la quale non avrò mai vergogna:
1. Di essere Scozzese e fiero dei colori del “Tartan” del “Kilt” di famiglia.
2. Di essere Sardo adottato, e di essere chiamato “fratello” da amici veri che ho conosciuto nel tempo in questa meraviglia di isola.
3. Del Vangelo di Cristo.
L’apostolo Paolo scrive: Infatti io non mi vergogno dell’evangelo di Cristo, perché esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, perché la giustizia di Dio è rivelata in esso di fede in fede. Romani 1:16,17
Spesso abbiamo paura di ciò che penseranno gli altri di noi, e spesso quella paura diventa una prigione per l’uomo. Gesù invece dice: se uno ha vergogna di me e delle mie parole, anche il Figlio dell’uomo avrà vergogna di lui, quando verrà nella gloria sua e del Padre e dei santi angeli. Luca 9:26
Gesù non aveva paura di quello che gli altri avrebbero pensato o detto di lui. Lui preferiva stare con la gente normale, semplice, bisognosa. Aveva solo parole forti per “i religiosi e capi del popolo”, preferendo la compagnia di pescatori, prostitute e gente disperata.
Gesù disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Or andate e imparate che cosa significa: “Io voglio misericordia e non sacrificio”. Perché io non sono venuto per chiamare a ravvedimento i giusti, ma i peccatori». Luca 9:12,13
Non abbiamo molte certezze per cui lottare nella vita oggi giorno; ma se un giorno vedrai un tipo strano in gonna, seduto a tavolino con una amico in velluto o pelliccia di pecora, sorseggiando un buon moscato e raccontandogli le meraviglie del suo Signore, allora mi avrai trovato, e sarai il benvenuto a sederti un attimino e berti “una cosa” con noi.
Sander Steall
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