L’argomento ha avuto vasta rilevanza in quest’ultimo anno soprattutto l’influenza dei cosiddetti gruppi “carismatici”, i quali praticano la danza come metodo di adorazione al Signore affermano che questo sistema è la riscoperta di una realtà biblica.
Spesso si afferma con leggerezza che una dottrina o una pratica sono biblici che, unicamente perché si trovano dei versetti nella Bibbia che riportano certi eventi e che usano fuori del loro regolare contesto. Prima ancora di esaminare direttamente il soggetto è necessario fare tre premesse:
a. Nessuno mette in dubbio la sincerità di coloro che sostengono questo metodo.
b. Nessuno vuole impedire la libertà individuale del credente di adorare in privato il Signore;
3. Nessuno nega che eccezionalmente questo mezzo, in particolari momenti di risveglio, si sia spontaneamente manifestato.
Nell’Antico Testamento
Iniziamo un esame obiettivo e senza pregiudizio dei casi dell’Antico Testamento che riguarda la danza: immediatamente notiamo che questi risultano essere sempre atti spontanei e non deliberati o regolati da una forma di liturgia prestabilita, come nel caso di Maria, sorella di Mosè, che “… prese in mano il timpano, e tutte le donne usciron dietro a lei con de’ timpani, e danzando” (Esodo 15:20); come nel caso della figlia di Jefte che uscì incontro a suo padre “… con timpani e danze …” (Giudici 11:34); o come Davide il quale “… danzava a tutta forza davanti all’Eterno…” (II Samuele 6:14). La prova ulteriore che la danza di Davide fosse spontanea e non prestabilita, sta nella descrizione dello stesso fatto riportato in I Cronache 15:16: Davide ordinò ai capi dei Leviti che chiamassero i loro fratelli cantori a prestare servizio con i loro strumenti musicali, saltèri, cetre e cembali, da cui trarre suoni vigorosi, per cantare in segno di gioia”; è evidente che la danza non era prevista, tant’è vero che dal testo risulterebbe che soltanto Davide la esercitò.
Nella dedicazione del Tempio descritta in II Cronache 5:12-13 ugualmente non esiste alcun riferimento alla danza, mentre c’è una descrizione precisa del canto di lode: “… cantavano, come un sol uomo, fecero udire un’unica voce per celebrare e per lodare l’Eterno”.
I sostenitori della “danza dello Spirito” citano i seguenti testi: Lodino il suo nome con danze…” (Salmo 149:3) e Lodatelo col timpano e le danze …” (Salmo 150:4), a riprova che esiste uno specifico ordine biblico a danzare come mezzo di adorazione a Dio. Basta però leggere il contesto dei due Salmi, come ad esempio “Esultino i fedeli adorni di gloria, cantino di gioia suoi loro letti (Salmo 149:5) per comprendere che non esiste nessun ordine per stabilire un sistema di lode o adorazione a Dio, ma soltanto un invito gioioso ad adorare il Signore spontaneamente, altrimenti, seguendo lo stesso criterio, dovremmo portare dei lettini nei luoghi di culto per adorare il Signore Iddio!
Infine non esiste alcun testo biblico che parli di “danza nello Spirito”, soltanto nel caso di Davide è detto: “Danzava … davanti al Signore”, quindi più che una manifestazione del “ministerio” dello Spirito Santo, si trattava di un’espressione di gioia ed emotività, certamente legittima per ogni credente che adora a “tutta forza” il proprio Dio.
Nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento esistono soltanto tre riferimenti alla danza.
Il primo è quello di Erodiada che: “… ballò e piacque ad Erode ad ai commensali …” (Marco 6:22) e chiese la testa di Giovanni Battista come premio nefando. E’ ovvio che questo ballo, come quello degli Israeliti che danzavano intorno al vitello d’oro (Esodo 32:19), non può essere considerato “danza nello Spirito”.
Il secondo riferimento è quello di Gesù il quale assomiglia la Sua generazione “… ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono: ‘Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto” (Matteo 11:16-17). Anche in questo caso è evidente che non si tratta di “danza nello nello Spirito”, ma soltanto di una similitudine che Gesù usa per dire che i propri contemporanei erano disubbidienti, disordinati e non inclini a collaborare con Dio.
Infine c’è il riferimento alla parabola detta del “figliol prodigo”. Il fratello del figlio prodigo “si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze” (Luca 15:25). E’ evidente che questa bellissima parabola di Gesù descrive una festa normale, svolta secondo gli usi e i costumi dell’oriente, e questo fatto di vita quotidiana, come tutti gli altri esposti nelle parabole, ha un’applicazione spirituale e morale.
Ma, com’è noto a chiunque abbia seguito dei basilari studi biblici, nessuna parabola può essere utilizzata come fondamento di una dottrina o di una pratica biblica.
In conclusione, quindi, i suddetti riferimenti alla danza non possono assolutamente essere presi come base di una pratica di culto nella chiesa fedele all’Evangelo.
Il silenzio degli Atti e delle Epistole.
E’ veramente significativo il fatto dell’assenza totale di qualsiasi riferimento alla danza nel ministerio di Cristo e della Chiesa del Nuovo Testamento. La Chiesa dell’era apostolica è certamente il modello per la Chiesa Cristiana di ogni tempo e, sia negli Atti degli Apostoli sia nelle epistole, non v’è alcun riferimento a gruppi di cristiani che esercitano “la danza nello Spirito” eppure, questi credenti veramente “carismatici” e “pentecostali” nel senso più completo del termine, manifestano varie componenti dell’adorazione al Signore, con manifestazioni di “canti pneumatici”, cioè cantici spirituali spontanei ed estemporanei ispirati dallo Spirito Santo, con espressioni udibili di lode e ringraziamento a Dio, esortazioni, doni delle lingue ed interpretazione e profezie, mentre manca qualsiasi riferimento ad un’eventuale “danza dello Spirito”.
Danza e Ritmi
A parte la definizione non scritturale, com’è già detto, di “danza nello Spirito”, bisogna tener presente che la pratica attualmente usata in circoli “carismatici”, e purtroppo anche in qualche comunità pentecostale, non sta creando edificazione ma dissensione. Essa produce gravi disturbi e non è legata a manifestazioni spontanee, ma generalmente, a ritmi musicali che inconsapevolmente spingono a muovere il corpo e a battere le mani per cadenzare il tempo.
Perché c’è stato sempre nella Chiesa Cristiana fedele all’Evangelo il ripudio della danza? Non era forse perché saggiamente la si riteneva non soltanto una manifestazione artistica, ma una componente emotiva che spinge all’eccitazione dei sensi? Il ritmo di certe musiche cosiddette spirituali, non ha nulla di veramente spirituale in senso biblico ed è pericolo. Una stessa frase, o una stessa parola e una stessa melodia, scandite ritmicamente, divengono una specie di droga. Basti pensare a certe sette originali, giunte anche nel nostre Paese, che ripetono le loro nenie a ritmo di campanelli e tamburini affermando di trovare la felicità. Questi ingredienti psicologici non servono altro che a sollecitare i sensi, ma non elevano lo spirito a Dio.
Tornando all’episodio del vitello d’oro descritto in Esodo 32, occorre notare quanto segue: “or Giosuè, udendo il clamore del popolo che gridava, disse a Mosè: ‘Si ode un fragore di battaglia nell’accampamento’. Mosè rispose: ‘Questo non è grido di vittoria, né grido di vinti; il clamore che io odo è di gente che canta’. Quando fu vicino all’accampamento, vide il vitello e le danze” (Esodo 32:17-19). Doveva certamente essere un “clamore”, un fragore” ritmico se gli israeliti ballavano. Qualcosa che li eccitava e li entusiasmava molto, simile all’eccitazione di massa che si nota nei grandi “concerti hard-rock” di oggi.
Questi espedienti psicologici sono introdotti tra gruppi carismatici che reputano fondamentale creare un’atmosfera “spirituale” artificiosa con cori che ripetono, privi di un vero messaggio di lode, generalmente sempre una stessa parola, e con ritmi appropriati, non necessariamente veloci, i quali spingono inevitabilmente il corpo e muoversi in una specie di danza.
La soluzione biblica
Occorre chiarire, a questo punto, che non s’intende mettere in dubbio la sincerità di coloro che praticano la danza come forma di adorazione (forse c’è da dubitare di quelli che la introducono allo scopo di ottenere dei risultati che apparentemente possono sembrare “spirituali”), ma sarebbe utile che questi credenti mostrassero più maturità spirituale, non identificando la “danza carismatica” come un segno di risveglio, e piuttosto scoprissero che il vero risveglio spirituale comincia dal cuore, dall’arrendimento della propria vita all’ubbidienza della volontà di Dio. Coloro che rivendicano questa pratica come biblica, com’è stato provato obiettivamente, sbagliano, perché nel Nuovo Testamento, fra le tante manifestazioni carismatiche, non esiste la “danza”. Se poi si pretende che questo metodo spinga alla libertà dell’adorazione a Dio, allora si tenga presente che la libertà nello Spirito non si esprime con movimenti fisici esteriori, soprattutto quando sono condizionati da un ritmo musicale senza il quale questi, altrimenti, non si manifesterebbero.
Nessuno ha mai impedito la manifestazione spontanea ed isolata di un credente il quale, durante la preghiera o il culto a Dio, eleva le braccia; ma quando questo fa parte di una liturgia di chi anima la riunione allora dov’è la libertà individuale tanto vantata? L’adorazione non è una forma d’intrattenimento artistico, né può essere manipolata con espedienti umani, mentre talvolta tutte le apparecchiature elettroniche, messe bene in evidenza in alcune sale di culto, sembrano richiamare l’attenzione della comunità sulla loro supremazia.
“La musica è l’umile ancella della Parola”, affermava un riformatore cristiano che ne sapeva di più, dal punto di vista dell’esperienza, come dal punto di vista della dottrina, di molti cristiani oggi che evidenziano più emotività che spiritualità.
Che fare allora, come comportarsi? Il culto a Dio, la vera adorazione che il Signore apprezza, è un cuore disposto alla lode e alla gratitudine, ma queste seguono il vero ravvedimento. Gioele, il profeta biblico “pentecostale” tanto citato, sospinto dallo Spirito Santo, esorta: “Stracciatevi il cuore, non le vesti …” (Gioele 2:13), cioè sia la vostra una adorazione più interiore che esteriore.
Occorre quindi considerare se questa pretesa scoperta di maggiore libertà mediante “la danza nello Spirito”, produca maggior santità e maggior umiltà, allontanando dalla vanità e dalla pericolosità esteriorità superficiale. Occorre considerare se produca dei risultati spirituali duraturi nei credenti che la praticano, se li induca ad una vita di maggiore consacrazione ed impegno per la causa di Cristo, o se invece questo metodo non sia una “variante” per far rientrare dalla finestra un tipo di mondanità santificata che i credenti, fedeli a “Tutto l’Evangelo”, avevano cacciato dalla porta e ripudiato per sempre.
Occorre, infine, considerare se questa pratica edifichi la comunità oppure crei dissensi e turbamenti, perché tutto quello che non edifica deve essere abbandonato seguendo il principio apostolico: “Ciò che è bene per voi non sia dunque oggetto di biasimo” (Romani 14:16).
Francesco Toppi
Ferrentino Francesco La Manna | Notiziecristiane.com
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