Tante garanzie ormai acquisite, ma anche molte insidie sempre dietro l’angolo. Lo scenario tratteggiato da Antonello Soro, presidente dell’Autorità Garante per la Privacy nella sua consueta Relazione annuale al Parlamento, mostra luci e ombre ed evidenzia che l’Italia, almeno per quanto riguarda la protezione dei dati personali, mostra un livello di civiltà e consapevolezza assai superiore a quello di altre realtà nazionali.
La disciplina giuridica della riservatezza nel nostro ordinamento può dirsi matura e si ispessiscono le superfici di tutela delle posizioni individuali, considerato il fatto che le garanzie azionabili da parte dei singoli sono numerose e solide. Questo non vuol dire, però, che non esistano criticità e nodi irrisolti. Proprio un mese fa l’Europa ha approvato, dopo anni di discussioni, il nuovo Regolamento per la privacy, che interviene su vari fronti, tra cui il diritto all’oblio e le regole sulla profilazione, e che entrerà pienamente in vigore in tutto il Continente entro maggio 2018. Nel frattempo, però, i vari Stati sono alle prese con problemi concreti e quotidiani e con alcune emergenze, tra cui il cybercrime, che in Italia, nel 2015, è cresciuto del 30%.
La criminalità informatica ha assunto dimensioni inquietanti e, anche in considerazione del poderoso sviluppo dell’”Internet delle cose”, potrà arrivare a compromettere “la sicurezza fisica delle persone”. Il cybercrime è una “minaccia reale”, con un peso sull’economia mondiale «stimato in 500 miliardi di euro all’anno, poco al di sotto del narcotraffico nella classifica dei guadagni illeciti», ha ricordato Soro. Nel 2015 sono quasi raddoppiate le comunicazioni di violazioni di banche dati (i cosiddetti data breach) pervenute all’Autorità garante per la Protezione dei dati personali. Nel solo settore dei servizi di comunicazione elettronica sono state 49, il che è comprensibile, considerata la crescente digitalizzazione delle nostre vite.
Altro campanello d’allarme è quello dell’incombente rischio di un “Grande Fratello governativo”, alimentato dalla necessità di porre in essere azioni di prevenzione e di contrasto al terrorismo. «Subito dopo gli attentati terroristici», ha chiarito Soro, «si cominciavano a ipotizzare nuove leggi per consentire un controllo a tappeto, da remoto, di tutte le comunicazioni degli utenti. Noi abbiamo ricordato l’opportunità di bilanciare la sicurezza con l’esigenza di difendere i diritti fondamentali degli utenti contro il rischio di derive totalitarie». Troppo spesso, infatti, i servizi segreti hanno preteso di agire a briglie sciolte, in nome di una lotta a oltranza contro ogni rischio terroristico, ma così facendo hanno di fatto azzerato le protezioni della riservatezza per cittadini e collettività organizzate.
Sempre attuali, inoltre, gli abusi nell’utilizzo dei dati da parte dei colossi della Rete che, con strumenti di profilazione, sfruttano commercialmente le informazioni riguardanti ciascuno di noi, le nostre abitudini, le nostre preferenze, i nostri gusti. Per non parlare del telemarketing, che sovente risulta aggressivo e anarchico, con un numero crescente di cittadini che denuncia telefonate pubblicitarie indesiderate.
Il Garante ha anche toccato, nella sua Relazione, l’argomento intercettazioni, che non attiene soltanto al loro utilizzo, ma anche e soprattutto alla loro pubblicazione da parte dei media. Rendere pubblici spaccati di vita privata, in mancanza del requisito di essenzialità della notizia, integra gli estremi di vere e proprie violazioni della riservatezza. Bene hanno fatto in questo senso alcune Procure della Repubblica, che si sono date regole precise volte a contenere, nel pieno rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa, la trascrizione di intercettazioni inerenti aspetti irrilevanti ai fini delle indagini o terzi estranei ai fatti.
«Nel rispetto dei diritti della difesa e della libertà di stampa», ha auspicato Soro, «sarebbe bene che negli atti processuali e quindi nella cronaca giudiziaria non siano riportati interi spaccati di vita privata, delle parti e soprattutto di terze persone, privi di reale rilevanza pubblica». No, quindi, alla trascrizione di intercettazioni che riguardano aspetti irrilevanti ai fini delle indagini, in maniera tale da «evitare a monte il rischio di una loro indebita divulgazione sulla stampa». Si tratta di un auspicio che ne lascia intendere un altro, cioè quello di un intervento del legislatore che disciplini in maniera chiara e puntuale questa spinosa materia.
di Ruben Razzante | Lanuovabq.it
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