Un’altra strage, altro orrore che lascia sgomenti: 50 persone sono state uccise a Orlando da un “lupo solitario”, un 29enne americano di origine afghane – Omar Mateen – che ha sparato all’impazzata all’interno di un locale gay, prima di essere ucciso a sua volta in uno scontro a fuoco con la polizia.
A diverse ore dall’accaduto, il legame con il terrorismo islamico pare indiscutibile: Mateen aveva telefonato alla polizia giurando fedeltà all’ISIS prima di andare a compiere la strage; l’Fbi ha rivelato che il giovane era già da tre anni sospettato di attività di sostegno al fondamentalismo islamico: era già stato interrogato nel 2013 e 2014, ma nulla era emerso a suo carico. Il padre di Omar, a sua volta, è un sostenitore dei taleban in Afghanistan. Anche se l’ISIS ha rivendicato l’attentato, è assai probabile che Omar Mateen abbia agito per iniziativa personale obbedendo piuttosto a quegli inviti ad agire autonomamente e attaccare obiettivi occidentali che l’ISIS sta propagandando attraverso dei video che arrivano facilmente via internet in tutti i paesi.
Quella di Orlando è sicuramente la strage più grave finora compiuta in un attacco isolato, ma non è certo la prima: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Belgio sono già stati teatro di attacchi simili e altri possiamo aspettarcene per il futuro. Sempre di più. Sono attacchi difficili da prevenire proprio perché chiunque può decidere di attivarsi all’improvviso, prendendo di mira obiettivi qualsiasi, luoghi affollati di preferenza: un bar, un teatro – come accaduto a Parigi -, un aeroporto (come a Bruxelles), un locale gay, come a Orlando.
Si tratta di una minaccia seria, che non si sconfigge certo con facili slogan: il candidato alla Casa Bianca Donald Trump ne ha subito approfittato per ribadire la sua proposta di chiudere il Paese all’ingresso di islamici, ma la realtà ci dice che questi attacchi arrivano da persone spesso nate e cresciute nei Paesi occidentali, come è stato anche per Omar Mateen, perlopiù considerate integrate nei nostri Paesi.
Allora forse è più utile rifuggire da proposte sommarie e riflettere invece su questa violenza che nasce all’interno delle nostre società. La vicenda di Omar Mateen è in qualche modo emblematica, perché – dalla ricostruzione fatta dai giornali americani – la sua instabilità, la sua tendenza alla violenza viene da lontano. Si era sposato otto anni fa, ma il matrimonio finì in pochi mesi, ha riferito la sua ex moglie al New York Times: era instabile e la picchiava per motivi stupidi, ha riferito. Ma allora non seguiva la religione.
L’abbraccio al fondamentalismo è più recente, è una proposta che diventa attraente perché incanala, dà uno scopo a quella insoddisfazione, a quella violenza che cova dentro. E la storia di Mateen non è certo unica, è un copione che si ripete, anche per gli occidentali che si convertono all’islam, ovviamente nella sua versione fondamentalista.
Dovremmo riflettere su questa violenza, che nasce nel profondo dei cuori e che diventa sempre più diffusa. Per altri versi, e in modi diversi, è la stessa origine della guerriglia che da giorni sta devastando le città francesi, dove i Campionati Europei di calcio sono diventati l’occasione per sfogare la violenza che, in questo caso, assume le sembianze dell’orgoglio nazionalista: inglesi contro russi, tedeschi contro ucraini e tutti contro tutti, annebbiati da alcol e droghe, in una manifestazione di degrado umano che probabilmente non ha precedenti per numero di nazionalità coinvolte.
Ma per tornare alla radice della questione, non si può non riflettere sul vuoto che questa società propone, sulla negazione delle domande più vere che sono nel cuore dell’uomo: domande di senso anzitutto, l’esigenza di una risposta radicale a quel desiderio di pienezza e di infinito che è nel cuore di ogni persona, lo si voglia o meno. L’individualismo estremo, l’ostinata affermazione dell’autodeterminazione come princìpi che muovono la società, la negazione di Dio anche solo come possibilità, generano solo solitudine ed emarginazione, frustrazione e insoddisfazione.
È il terreno fertile per il proselitismo fondamentalista, che oggi non richiede neanche più di associarsi, pare anzi assecondare l’individualismo oggi dominante in Occidente: colpite da soli, non chiedete il permesso a nessuno, martella la propaganda dell’ISIS. E loro colpiscono; uccidono, usando come arma migliore l’ideologia dominante in Occidente, che non a caso san Giovanni Paolo II definiva cultura della morte.
di Riccardo Cascioli | Lanuovabq.it
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook