Da giugno 2015, centinaia di migranti che non vogliono restare in Italia e che cercano di proseguire verso altre mete europee, sono bloccati al confine francese. Fin dall’inizio volontari e attivisti si sono presi cura di loro in assenza dello Stato. Accoglienza rafforzata dall’apertura di un centro gestito dalla Croce Rossa, accanto alla stazione ferroviaria (non sempre sufficiente per capienza e ospitalità, ma sicuramente indispensabile). Nel luglio del 2015 un’ordinanza del sindaco ha vietato di dare da mangiare ai migranti – tranne che per la Croce Rossa – per ragioni sanitarie, cosa che cittadini e attivisti noborder avevano fatto fin da subito. Questa norma è stata sospesa poche settimane fa. Al confine non sono sempre gli stessi i migranti presenti, alcuni riescono a passare, e c’è un ricambio continuo: ma il numero resta simile, tra le 100 e le 250 persone. La settimana scorsa il Ministro Alfano ha visitato la città e ha ordinato di chiudere il centro di accoglienza: «Anziché pensare di estendere l’accoglienza è stato chiuso il centro – dice l’avvocata Alessandra Ballerini, che segue Caritas e migranti dall’inizio dell’emergenza – Queste persone non vogliono chiedere asilo in Italia, oppure non sanno come fare perché nessuno gliel’ha mai spiegato».
Tra i problemi principali, il regolamento di Dublino, che impone agli stati di primo sbarco di occuparsi delle persone arrivate nel paese. «Il giorno dopo la chiusura del centro, 50 persone prese a caso sono state caricate sui pullman, fatti salire su un’aereo delle Poste e riportate all’hotspot di Trapani, dal quale erano già transitati per essere identificati – dice ancora Ballerini – la soluzione del Monopoli, del ripartire dal via, non porta da nessuna parte, allontana solo il problema. E inoltre ai contribuenti italiani costa tantissimo». Un espulsione che sembra casuale ma che dal punto di vista del diritto è «totalmente illegittima – continua Ballerini – nulla è stato notificato a loro a nostra conoscenza. Ad altri migranti che vengono fermati dalle forze dell’ordine, vengono notificati dei decreti di espulsione o respingimenti differiti. Entro 7 giorni devono autoespellersi dal paese: persone scalze, che non hanno da mangiare, che non hanno documenti, che sono state torturate poco tempo fa, a cui viene detto di tornare nei paesi da cui scappano. Il 30 % di loro sono bambini». In questo modo si intasa il sistema burocratico (ogni decreto può essere impugnato, con ricorsi, sentenze, ecc) per non voler riconoscere loro un diritto. La Caritas da sempre continua a sostenere i profughi con l’aiuto del volontariato locale, e anche la Diaconia Valdese aveva aperto una raccolta fondi per sostenerne l’accoglienza.
Dopo la chiusura del centro, molti migranti si sono accampati lungo il fiume Roja e sotto i viadotti cittadini. Domenica scorsa è stato ordinato l’ennesimo sgombero per motivi di ordine pubblico e una chiesa locale ha aperto i propri locali per accogliere i migranti. Ne abbiamo parlato con padre Francesco Marcoaldi, responsabile della parrocchia.
Come avete accolto queste persone?
«Alle 19,30 di domenica sono arrivati un gruppo di migranti insieme ad alcuni ragazzi italiani e francesi, per chiedere ospitalità e protezione e per non essere deportati. Mi hanno detto che c’erano due aerei disponibili a Genova per portarli nuovamente in Sicilia. Io ho aperto loro la parrocchia e li ho ospitati nel salone. Con la Caritas abbiamo offerto loro il pranzo, c’è molta disponibilità a collaborare da parte delle persone, mi hanno chiamato diversi media sia italiani che francesi: a tutto ciò mi sembra sia stata data una grande importanza. Noi siamo qui per aiutare e non per ostacolare questa migrazione che avrebbe bisogno di molta più comprensione rispetto a quella che si sta dando. Come chiesa siamo disponibili e cerchiamo di alleviare le preoccupazioni e i dolori di questi ragazzi che in molti casi sono disperati».
La chiusura del centro è stata problematica per la città?
«Sì, ed è per questo che c’è questo un numero così grande di migranti che non sa dove andare, la situazione è molto critica. Quasi come un anno fa, quando dormirono sugli scogli: anche in quel caso la parrocchia accolse un buon numero di migranti. Gli interventi della Caritas sono giornalieri, con alimenti, vestiti e in molti casi aiuti in denaro. I cittadini in certi casi sono un po’ insicuri o spaventati, non perché siano successi casi gravi, ma penso che sia una paura derivante da alcune trasmissioni televisive, dovuta più a pregiudizi che a fatti reali».
C’è un lavoro con la cittadinanza su questo tema?
«A livello parrocchiale lo facciamo. A livello comunale, dopo la chiusura del centro, so che il sindaco e gli assessori si sono autosospesi come forma di protesta. La popolazione si sentirebbe più tranquilla se queste persone fossero accolte dignitosamente, senza il bisogno di ricorrere all’elemosina o inserirsi in iniziative più pericolose. La cittadinanza sa che c’è questo problema e spera che si risolva».
Cosa pensa della norma per non dare cibo ai migranti per motivi di igiene?
«Non ero a conoscenza di questa legge. Con o senza norma, per noi chiesa, non esiste la possibilità di non dare da mangiare agli affamati».
Qual è l’orizzonte di questa accoglienza di emergenza, secondo lei?
«La soluzione di questo problema non sta in mano alla chiesa, ma allo Stato. Noi stiamo dando a queste persone la tranquillità che c’è qualcuno che pensa a loro e che si preoccupa: un po’ di serenità e l’impressione che non siano disprezzati o allontanati. Speriamo che le soluzioni trovate dalle autorità civili non siano più dolorose di quelle che stanno vivendo ora questi migranti. Questa gente cerca una soluzione definitiva in altri paesi, anche se il problema non è solo europeo, ma mondiale. Trovando queste persone in una situazione così estrema, non possiamo chiudere loro la porta, ha senso che loro trovino in noi l’accoglienza. Con vicinanza, protezione e accoglienza si diminuisce la disperazione: se non ci fosse la chiesa, cosa rimarrebbe a queste persone?
Come vi siete rapportati con le forze dell’ordine?
«Con le forze dell’ordine non abbiamo avuto nessun contatto, ma la nostra idea è di lasciare la porta aperta finché ce ne sarà bisogno».
Aggiornamento: Nella giornata del 31 maggio migranti e No border sono usciti dalla chiesa di San Nicola da Tolentino.
Foto: via Presidio permanente Noborder Ventimiglia
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