Ma quali diritti? Ecco il vero volto del potere gay: cambiare società e natura con l’omosessualità

img-_innerArtFb-_cirinnà-e1456414561244Ci siamo. Lo aveva promesso Renzi in TV da Fazio domenica scorsa: «Giovedì l’Italia avrà una legge sui diritti civili». Certo manca la firma del Presidente della Repubblica, ma legge c’è. «Credo che il Paese se lo meriti» aveva aggiunto parlando della legge sulle cosiddette unioni civili. Ma che cosa si merita, il Paese? Qual è il cuore di questo testo legislativo passato senza discussione parlamentare e nel silenzio complice dei media?

Vediamo come risponde uno dei paladini di questa legge, Sergio Lo Giudice. Siciliano trapiantato a Bologna, il senatore Pd convive da anni con Michele Giarratano, avvocato, padre biologico di un bambino che i due stanno crescendo insieme, un bimbo nato grazie a ovuli e utero di due donne diverse in una clinica californiana. L’operazione è stata condotta da un’agenzia per la cosiddetta “surrogacy” ed è costata – raccontano loro stessi –  tra gli 80 e i  100 mila euro. Intervistato da Sabrina Nobile per le Iene in tema di unioni civili e sulla loro vita insieme, alla domanda «Cosa cambierebbe se passasse questa legge?», Lo Giudice risponde:«Cambierebbe la visione sociale dell’omosessualità».

Non risponde citando i diritti mancanti o la discriminazione, non cita presunti divieti sanciti per legge a causa dell’orientamento sessuale, non cita impedimenti, risponde semplicemente che cambierebbe la visione sociale dell’omosessualità.

Ma come, nell’Italia di Sanremo coi nastrini arcobaleno, quella in cui due uomini che convivono regolarmente con partner dello stesso sesso sono stati regolarmente eletti presidenti in due regioni del Sud, nell’Italia in cui Vladimiro Guadagno è stato la prima persona transgender a essere eletta al parlamento di uno Stato europeo. Nel Paese in cui Tiziano Ferro riempie i palazzetti, Dolce & Gabbana inondano le vetrine e i manifesti pubblicitari, nella terra in cui Mika e Enzo Miccio inondano i palinsesti, nella patria di Roberto Bolle, dove i sondaggi registrano che secondo l’opinione pubblica l’omosessualità è una naturale variante della sessualità umana, occorre cambiare la visione sociale dell’omosessualità? C’è bisogno di una legge?

Lo Giudice sa bene di sì, che una legge è indispensabile, perché la questione centrale è dare rilevanza giuridica ad un comportamento sessuale fino ad ora semplicemente relegato alla sfera privata.

Lo spiega bene Rober Reilly nel libro Making gay okay – how rationalizing homosexual behavior is changing everything, ovvero, «come la razionalizzazione del comportamento omosessuale sta cambiando tutto», edito da Ignatius Press nel 2014, quando dice: «Gli omosessuali non auspicano soltanto di essere tollerati nel loro comportamento privato, bensì di vedere il loro comportamento riconosciuto come normale». E se viene razionalizzato – scrive ancora «deve essere insegnato nelle scuole come uno standard, e se è uno standard deve essere rinforzato».

«Nessuno – aggiunge Reilly – oggi interferisce nelle unioni che omosessuali o lesbiche desiderano formare. […] Nessuno li fermerà, non ci sono proibizioni legali. Ma questo non è sufficiente, quello che vogliono è un riconoscimento legale che obbliga tutti ad ammettere la legittimità del loro comportamento». Nel volume si ricorda Jeff Levi, ex dirigente del National Gay e Lesbian Task Force, quando affermava: «Noi non vogliamo semplicemente la privacy, o essere protetti dalle ingiustizie. Noi abbiamo il diritto di vedere il governo e la società affermare le nostre vite. Abbiamo un’agenda per creare una società in cui l’omosessualità è vista come salutare, naturale e normale». Una normalizzazione che deriva da un malinteso – seppur in buona fede – senso di accoglienza e rispetto? Secondo Reilly no, si tratta invece di abolire il concetto di limite: «Chiunque sceglie un’azione sbagliata deve poterla presentare come giusta», «quando razionalizziamo noi ci convinciamo che quelli che fino ad ora erano desideri proibiti sono invece permessi», «in sintesi affermiamo che il male è bene».

«Gay is good», gay è buono, affermava infatti Frank Kameny, pioniere del movimento gay in America, con uno slogan che sarebbe diventato il manifesto sintetico del movimento lgbt. A lui ha risposto in un saggio Charles Socarides (1922-2005), psichiatra statunitense tra i fondatori del Narth, organizzazione che offre percorsi psicologici a coloro che lottano con tendenze omosessuali indesiderate: «Excuse me, Gay is not good». Ovvero gay non è buono. «Gay non è decidere liberamente. Come faccio a saperlo? Per più di quarant’anni sono stato a fianco di centinaia di omosessuali, i miei pazienti, e ho speso la gran parte della mia vita professionale in una sorta di cura pastorale del loro comportamento. […] Il punto è questo: molti avevano personalità, una buona istruzione, erano rispettati amministratori delegati, erano pubblicitari, attori. Ma soffrivano per una e una sola ragione: erano intrappolati da questo misterioso bisogno compulsivo di fare sesso con altri uomini. Non erano liberi, non erano felici. E volevano vedere se potevano cambiare».

Socarides si era dedicato all’omosessualità spinto anche dal fatto che il suo primo figlio, Richard, presentava questa tendenza. Analizzando la situazione, Socarides era arrivato individuare tra le cause dell’orientamento di Richard la sua stessa assenza come padre, dovuta al divorzio con la moglie avvenuta quando il figlio aveva solo sei anni. «La mia lunga esperienza clinica e una considerevole parte delle ricerche psicoanalitiche che arrivano fino Freud, dicono che la maggior parte degli uomini intrappolati nel sesso con persone dello stesso sesso rispondono, a livello inconscio, a una sofferenza che li ha toccati nel periodo dell’infanzia, qualcosa che in qualche modo ha a che fare con una madre dominante e con un padre assente. Attraverso una lunga osservazione ho imparato che la supposta liberazione omosessuale non è mai tale. Nelle sue multiple avventure sessuali, infatti, anche l’uomo più effemminato sta cercando di incorporare la mascolinità dell’altro, in una eterna e compulsiva ricerca della mascolinità che non è stato aiutato a formare nella sua prima infanzia»

Negli scritti che ha lasciato Socarides racconta di aver aiutato molte persone a eliminare la tendenza omosessuale indesiderata, e che coloro che non vi erano riusciti del tutto avevano da lui però imparato a gestirla e a non esserne schiavi. Socarides non rinnega le sue posizioni neanche quando, nel 1973 la American Psychiatric Association vota per alzata di mano – non quindi secondo criterio scientifico – la cancellazione dell’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. «Quando la questione dell’omosessualità assume tutti gli aspetti di un movimento politico – scriveva –  essa diventa una guerra, il tipo di guerra in cui la prima vittima è la verità».

Socarides non era certo un tradizionalista cattolico. Dopo il divorzio dalla prima moglie, da cui aveva avuto due figli, si era sposato altre tre volte e aveva avuto altri due bambini. Eppure parlava della tendenza omosessuale di una schiavitù che impedisce la vera libertà, parlava di bugie e verità. Chiamava menzogna fantasiosa la teoria secondo cui «I gay sono nati in questo modo» e affermava: «Io voglio aiutarli a combattere la battaglia».

Parole che sembrano essere in sintonia con quelle di un altro padre, un pastore, l’allora Cardinale Ratzinger, che nel 1986, nella sua Lettera ai vescovi per la cura pastorale delle persone omosessuali affermava: «Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico». Trent’anni dopo queste parole sono attuali più che mai.

«La Chiesa non può non preoccuparsi di tutto questo e pertanto mantiene ferma la sua chiara posizione al riguardo, che non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento. Essa si preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda. Essa è consapevole che l’opinione, secondo la quale l’attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l’espressione sessuale dell’amore coniugale, ha un’incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo».

E ancora. «La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento solo al suo orientamento sessuale. Qualsiasi persona che vive sulla faccia della terra ha problemi e difficoltà personali, ma anche opportunità di crescita, risorse, talenti e doni propri. La Chiesa offre quel contesto del quale oggi si sente una estrema esigenza per la cura della persona umana, proprio quando rifiuta di considerare la persona puramente come un “eterosessuale” o un “omosessuale” e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna».

di Raffaella Frullone | Lanuovabq.it

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