Bocciata l’eutanasia. Bene, ma presto ci riproveranno

img-_innerArtFb-_sca2_38Le lobby pro eutanasia scavano cunicoli profondi sotto le fondamenta del Parlamento europeo, cunicoli che ad oggi non hanno ancora determinato il collasso di questa istituzione, ma che alla lunga potrebbero provocare guai seri. La settimana scorsa è stata bocciata una “Dichiarazione sulla dignità del fine vita”. Il documento, sottoscritto da 95 deputati su 751, così recita: «Tutti i cittadini europei, indipendentemente dalla loro nazionalità, che si trovano in una fase avanzata o terminale di una malattia incurabile, la quale sta causando loro una insopportabile sofferenza fisica o psichica impossibile da alleviare, dovrebbero essere messi in grado di beneficiare di assistenza medica allo scopo di porre fine alla propria vita con dignità». Un giro di parole per tentare di introdurre l’eutanasia nei paesi Ue.

Antoine Renard, presidente Federazione delle associazioni delle famiglie cristiane in Europa, ha dichiarato che «è chiaro che la lobby pro-eutanasia sta iniziando a lavorare attivamente nel Parlamento europeo. Da qui il rischio che l’attenzione dei politici europei venga deviata da ciò che l’Unione europea potrebbe fare per promuovere le buone pratiche tra gli Stati membri in materia di cure palliative e di sostegno alle famiglie che si prendono cura di una malato terminale».

Non è la prima volta che a Strasburgo si cerca di raccogliere consensi intorno alla “dolce morte”. Due esempi molto recenti. Lo scorso settembre venne messa al voto sempre al Parlamento europeo la relazione “La situazione dei diritti fondamentali in Unione Europea (2013-2014)”, proposta dall’italiana Laura Ferrara del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta. In questo documento al n. 104 veniva chiesto «il rispetto della dignità delle persone al termine della vita, in particolare garantendo che le decisioni espresse nei testamenti in vita siano riconosciute e rispettate».

Nel giugno del 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva espresso parere favorevole a staccare la spina al signor Vincent Lambert, che da sette anni era completamente tetraplegico. I giudici avevano dichiarato che «se anche il quadro clinico più grave, compresa la perdita irreversibile della coscienza, non è sufficiente a giustificare l’interruzione del trattamento, un’attenzione particolare deve essere data alla volontà del paziente. Risulta che, prima dell’incidente, Vincent Lambert avesse chiaramente e a più riprese espresso il desiderio di non essere mantenuto artificialmente in vita». Occorreva dunque trovare «un equilibrio tra la protezione del diritto alla vita del paziente e la protezione del diritto alla sua vita privata e alla sua autonomia».

Tralasciamo altri documenti o sentenze di carattere mortifero con marchio Ue abbastanza recenti per citare la “Relazione della Commissione per la protezione dell’ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori” sull’assistenza “ai malati terminali” proposta dalla Commissione ambiente e sanità del Parlamento Europeo nel lontano aprile 1991, per comprendere come il gioco dello stacco della spina nell’Unione europea non sia affatto cosa nuova. Nella relazione al punto numero 8 così si poteva leggere: «mancando qualsiasi terapia curativa e dopo il fallimento delle cure palliative correttamente impartite sul piano tanto psicologico quanto medico, ed ogni qualvolta un malato pienamente cosciente chieda in modo insistente e continuo che sia fatta cessare un’esistenza ormai priva per lui di qualsiasi dignità ed un collegio di medici costituito all’uopo constati l’impossibilità di dispensare nuove cure specifiche, detta richiesta deve essere soddisfatta senza che in tal modo sia pregiudicato il rispetto della vita umana».

È interessante notare che ieri come oggi i criteri per dispensare l’eutanasia, addirittura nella sua forma attiva e non meramente omissiva, siano più o meno sempre gli stessi. Le condizioni del malato affetto da dolori insopportabili. Ovviamente il giudizio sulla insopportabilità della sofferenza è demandato unicamente al paziente stesso e quindi riveste carattere puramente soggettivo. Poi la volontà reiterata di morire, la cui validità giuridica permane anche se espressa tempo addietro in un pezzo di carta chiamato “Dichiarazioni anticipate di trattamento”. Tale volontà di morte è tutelata da un’interpretazione assai disinvolta del famigerato art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo il cui titolo così recita: «Diritto al rispetto della vita privata e familiare».

Dal diritto alla privacy al diritto al suicidio ci sta un mare in mezzo, ma facilmente navigabile per chi è armato da cattive intenzioni. Va da sé poi che le volontà del malato terminale sono sicuramente condizionate dal dolore psicofisico e dunque non sono libere. Altra condizione per accedere all’eutanasia l’esistenza di un protocollo medico che faccia apparire la morte del paziente non come omicidio, ma come atto terapeutico giuridicamente legittimo (stessa cosa avviene per l’aborto). Tutti criteri che, a guardar bene, già figurano in quelle legislazioni pro “dolce morte” sparse per il mondo, Europa compresa, e che dunque favoriranno l’impegno di quei politici i quali sono desiderosi che anche sull’Unione europea sventoli quanto prima la bandiere nera dell’eutanasia.

di Tommaso Scandroglio | lanuovabq.it

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