La Commissione per gli Affari sociali, Salute e Sviluppo sostenibile dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa si riunisce oggi a Parigi.
All’ordine del giorno c’è anche la discussione su un report dal titolo “Diritti umani e questioni etiche legate alla maternità surrogata”. Il report non riconosce l’intrinseca malvagità di questa pratica, ma la stigmatizza solo laddove si faccia commercio del corpo della donna.
Nel rapporto, infatti, si può leggere: «La maternità surrogata mina la dignità umana della donna gestante dato che il suo corpo e la sua funzione riproduttiva sono utilizzati come una merce. La maternità surrogata commerciale – dove una donna riceve una retribuzione, oltre le spese sostenute, per la gestazione di un bambino per qualcun altro – anche se vietata nella maggior parte degli Stati europei, è tuttavia una pratica altamente diffusa». Inoltre, il report ricorda che la pratica dell’utero in affitto a fini commerciali mina la dignità del bambino e ingenera danni al suo sviluppo psico-fisico.
Come si appuntava, il rapporto non qualifica tale pratica come illecita di per sé, ma solo qualora scada in un commercio di donne e bambini. Un’impostazione del problema assai pericolosa. Implicitamente, infatti, gli estensori del report ci dicono che se tutto avvenisse in modo gratuito la dignità di gestanti e bimbi sarebbe intatta. Questa interpretazione non è cavillosa. Infatti, chi è a presentare il report a Parigi? La senatrice belga Petra de Sutter (nata Peter), ginecologa e capo del Dipartimento per la medicina riproduttiva presso l’Ospedale Universitario di Gent, uno dei quattro ospedali che in Belgio pratica la maternità surrogata. Queste strutture ospedaliere offrono tale “servizio” nonostante nel 2011 il Parlamento europeo abbia adottato una risoluzione in cui si chiede «agli Stati membri di riconoscere il grave problema della maternità surrogata, che costituisce uno sfruttamento del corpo femminile e dei suoi organi riproduttivi». Inoltre questa pratica della maternità in conto terzi cozza anche contro l’art. 7.1 della Convenzione sui diritti del fanciullo la quale stabilisce che ogni bambino ha «il diritto di conoscere e di essere educato da suoi genitori».
Quindi, abbiamo un medico che presta la sua opera per la pratica della maternità surrogata e che d’altro canto appoggia un report contro la stessa. La contraddizione viene superata se andiamo a leggere un’intervista rilasciata dalla de Sutter il 3 febbraio scorso al quotidiano La Libre in cui il medico così si era espressa sulla questione dell’utero in affitto: «Io sono a favore di una regolamentazione liberale della maternità surrogata, ma accompagnata da un divieto di ogni forma di maternità surrogata commerciale». Come a dire: usiamo le donne come incubatrici di carne e sviliamo la dignità dei bambini, ma non speculiamoci su. All’indecenza c’è un limite. Ed è questo il principio sotteso al report che viene esaminato dalla Commissione affari sociali. Un modo molto furbo per far passare questa tecnica di riproduzione artificiale: bollarla come iniqua solo se è fonte di guadagno.
Esisterebbe quindi una maternità surrogata buona perché samaritana, perché compiuta per scopi umanitari e che perciò dovrebbe ricevere il plauso e il sostegno di tutta l’Europa. Ma oltre alle questioni etiche legate alla reificazione del bambino e della donna a motivo della pratica in sé che il report scavalca con agilità, rimangono sul tavolo anche quelle connesse al commercio dei bambini avuti tramite la maternità surrogata, questioni che per lo stesso report sarebbero ostative per la legittimazione della maternità surrogata. Non si può dare, infatti, uteri in affitto senza un cospicuo giro di soldi e questo accade per una semplice ragione: quale è la donna che porterebbe avanti una gravidanza in conto terzi gratis? Ciò avviene addirittura per la “mera” fecondazione artificiale di tipo eterologo dove ovociti e sperma vengono comprati, figurarsi per una procedura più complessa come quella della maternità surrogata.
Ora il costo di tutta la procedura che coinvolge la pratica della maternità surrogata varia dai 75.000 a 170.000 dollari. Ed è per questo che il business è fiorente soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove le donne che versano in stato di povertà cadono più facilmente in questo giro di prostituzione procreativa. Il giro di affari è cospicuo perché c’è da pagare la donna che si accollerà la gestazione, gli esami clinici, i gameti che verranno usati, gli avvocati per tutte le pratiche, il personale amministrativo e via dicendo. Inoltre, bisogna assicurarsi che la tenutaria d’utero, la quale spesso vende anche i propri ovociti, non voglia poi tenersi il bambino, cosa tutt’altro che infrequente. Anche il riscatto del bebè avviene con moneta sonante.
Quindi, sul piano della realtà dei fatti è impossibile scindere la pratica dell’utero in affitto da attività lucrose. Un altro motivo per dire che appoggiare la maternità surrogata a patto che avvenga senza compenso è solo un espediente retorico pietista per far passare comunque questa pratica. E dunque c’è da augurarsi che oggi a Parigi i membri della Commissione affari sociali ribadiscano espressamente che la maternità surrogata è una pratica sempre e comunque illecita, sia che se ne faccia commercio sia che, ipotesi più astratta che reale, sia espressione di pura liberalità.
di Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it
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