Sono almeno 151 le esecuzioni capitali messe in atto in Arabia Saudita quest’anno: il dato più elevato dal 1995, quando si registrarono ben 192 esecuzioni. Secondo Amnesty International il Regno saudita è tra i primi cinque paesi per l’esecuzione di persone: nel 2014 si è classificato terzo, dopo Cina e Iran, e davanti a Iraq e Stati Uniti.
Nessun rappresentante del Ministero della giustizia saudita ha voluto commentare l’aumento del numero di esecuzioni. Secondo alcuni analisti politici l’escalation potrebbe dipendere dal fatto che recentemente sono stati nominati più giudici per permettere la risoluzione di casi arretrati. Altri invece sostengono che la crescita delle esecuzioni sia la risposta ai conflitti politici presenti nella regione. Le autorità saudite hanno risposto con la repressione di chi era sospettato di partecipare o sostenere o esprimere opinioni critiche verso lo stato. I manifestanti sono stati trattenuti senza accusa e in isolamento per giorni o settimane e sono stati segnalati maltrattamenti e torture. Dal 2011, quasi 20 persone collegate alle proteste sono state uccise e centinaia incarcerate.
Nelle sue denunce Amnesty insiste sull’iniquità dei processi nel paese. In Arabia Saudita sono soprattutto gli stranieri a subire esecuzioni capitali: sul totale delle persone eseguite nel 2015 71 sono proprio stranieri. Questi, per lo più lavoratori provenienti da paesi poveri, sono particolarmente vulnerabili in quanto in genere non sanno l’arabo e viene loro negata la traduzione adeguata in tribunale.
Inoltre, violando la Convenzione sui diritti dell’infanzia e il diritto internazionale, l’Arabia Saudita ha messo a morte persone per reati commessi quando erano minorenni.
In particolare in queste settimane Amnesty International chiede l’annullamento della sentenza capitale nei confronti di Ali Mohammed Baqir al-Nimr, giovane attivista sciita condannato a morte per reati presumibilmente commessi all’età di 17 anni. Il giovane è accusato di aver partecipato alle proteste anti-governative e di aver attaccato pattuglie di sicurezza. La confessione sarebbe stata estorta con torture e maltrattamenti e il processo non si sarebbe svolto equamente. Ali Mohammed Baqir al-Nimr ha esaurito ogni possibilità di appello e può essere messo a morte appena il re ratifica la condanna. L’appello lanciato da Amnesty chiede che la sentenza venga annullata, che si svolgano indagini sulle torture e che l’Arabia Saudita rispetti i diritti umani. (Per firmare l’appello clicca qui)
(Fonte: AI | Riforma.it)
Foto: “Mescidi nebevi” by Noumenon – Own work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Commons.
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