All’Umpqua Community College, Roseburg, Oregon, si è consumata una nuova strage nei college statunitensi giovedì 1 ottobre.
Un ragazzo di nome Chris Harper Mercer, dotato di un vero e proprio arsenale personale (giubbotto antiproiettile, tre pistole e un fucile) ha fatto irruzione dell’istituto e ha iniziato a uccidere sistematicamente gli studenti. Non ha sparato a caso: ha selezionato i cristiani, coloro che hanno avuto il coraggio fino all’ultimo secondo di vita di dichiararsi fedeli cristiani. Il bilancio, ancora provvisorio, è di 10 morti (fra cui lo stragista) e 8 feriti.
Il profilo del ventiseienne pluri-omicida ha cominciato a emergere subito dopo la sua uccisione. L’indagine sui social network a cui era iscritto ha portato gli inquirenti a scoprire suoi contatti con apologeti del terrorismo jihadista su MySpace, ma anche una sua passione per l’Ira irlandese e cattolica “l’esercito invitto”, come era scritto su un meme del suo profilo MySpace. Si definiva “spirituale, ma non religioso”, di idee politiche “conservatrici”, con un carattere “timido, ma mi scaldo abbastanza facilmente, specie in gruppi piccoli”. Aveva tentato di entrare nell’esercito, ma era stato scartato. Le armi le sapeva usare: stando alle testimonianze dei vicini di casa, si recava al poligono assieme a sua madre. I suoi familiari, comunque, sono letteralmente caduti dalle nuvole quando hanno appreso le notizie del massacro.
Il suo bersaglio era chiarissimo. Stando alle testimonianze incrociate di Stacy Boylan (sorella di una studentessa sopravvissuta alla strage) e di Kortney Moore, un’altra sopravvissuta, lo stragista ha fatto sdraiare a terra le sue vittime designate, poi ha chiesto loro se fossero cristiane o no. “Se sei cristiano, alzati in piedi”. Poi ha sparato alla testa ai cristiani: “Visto che sei cristiano, vedrai Dio fra un secondo”. Gli altri sono stati gambizzati. E’ ancora da comprendere la motivazione di un massacro che sembrerebbe seguire le modalità di quelli compiuti da Boko Haram in Nigeria o dagli Shebaab in Kenya, quando musulmani e cristiani vengono separati (tramite un piccolo esame sul Corano o un mero controllo dei documenti) prima di procedere all’eliminazione fisica dei secondi. La sua scelta dei bersagli cristiani, nel caso di Mercer, resta però un mistero. Non risulta alcun legame col terrorismo islamico e neppure con l’islam radicale in senso lato, a parte i suoi lontani contatti virtuali con due apologeti del terrorismo. Non risulta neppure una sua appartenenza a sette sataniche, o a gruppi particolarmente anti-cristiani. “Uccidere zombie” era uno dei suoi hobby dichiarati: nessuno avrebbe mai pensato che stesse parlando, sotto metafora, di uomini in carne ed ossa di fede cristiana.
Tuttavia, non è il primo, ma il secondo massacro di cristiani negli Stati Uniti in appena tre mesi. Il 17 giugno scorso, un altro ragazzo evidentemente squilibrato, Dylann Roof, entrò nella chiesa metodista africana Emanuel, di Charleston, South Carolina, assieme ai fedeli. Estrasse una pistola e iniziò a sparare a tutti i fedeli presenti a una sessione di letture bibliche, uccidendone nove. I fedeli erano tutti afroamericani e Dylann Roof, mentre li uccideva, li insultava con epiteti razzisti. Prima di avviare la strage, descrisse così le sue “motivazioni” alla figlia della sua prima vittima designata, l’87enne Susie Jackson: “Lo devo fare, perché voi violentate le nostre donne e vi state impossessando del nostro paese”. Sparando in chiesa, a bruciapelo, contro fedeli intenti a pregare, continuò a urlare: “stavate pregando per qualcosa? Adesso avete qualcosa per cui pregare veramente!”. Si è trattato del più grande massacro in una chiesa mai occorso nella storia criminale degli Usa ed è, in genere, il secondo più grande massacro in un edificio religioso, assieme alla strage in un tempio buddista a Waddel, in Arizona, nel 1991. Gli edifici religiosi cristiani, anche all’epoca dei grandi gangster erano sempre stati rispettati.
Le motivazioni possono essere le più disparate, la follia gioca un ruolo fondamentale, sia nell’uno che nell’altro caso. Un tratto comune è però evidente: solo una fortissima carica anti-cristiana può spingere un uomo, folle quanto si voglia, a sparare a fedeli in preghiera o a selezionare sconosciuti studenti cristiani da assassinare a freddo. Sono episodi che ricordano l’omicidio di suor Laura Mainetti (della quale è in corso la causa di beatificazione), a Chiavenna, nel 2000. Il delitto, seguito a suo tempo anche da Massimo Introvigne, in qualità di sociologo delle religioni, fu commesso con estrema violenza da tre ragazze minorenni che non appartenevano ad alcuna setta organizzata. Il loro era puro anti-cristianesimo e un’adesione spontanea, apparentemente solo per “spezzare la monotonia” di una cittadina di montagna, ad una sub-cultura satanica. Nel caso di Charleston, la mancanza di rispetto per un luogo religioso è già, in sé, un forte segnale di scristianizzazione.
Le fonti dell’ideologia anti-cristiana sono ovunque e sono di dominio comune. Basta navigare su Internet per trovare ogni forma di manifestazione di intolleranza nei confronti delle religioni, ma del cristianesimo in particolar modo. Se la cultura progressista arriva ad equiparare il cristianesimo al razzismo e descrive la storia dell’Occidente cristiano come un susseguirsi di sopraffazioni violente (fino alla “liberazione”, ancora incompiuta, dalla religione), tutte le forme di attacchi diventano legittime, dalla vignetta dissacrante fino all’insulto. Nella relazione di apertura di Massimo Introvigne alla seconda conferenza internazionale dell’Osce, la prima fase dell’intolleranza religiosa è soprattutto culturale: “un gruppo è messo in ridicolo attraverso stereotipi, rappresentato come malvagio, corrotto, un ostacolo alla felicità e al progresso”. L’esposizione di una mente debole ad un continuo, multiforme e violento attacco al cristianesimo può produrre drammatici effetti collaterali.
Purtroppo questo è l’aspetto più sottovalutato nelle stragi americane e quello su cui si investe meno sforzo preventivo. Dopo il massacro dell’Oregon di giovedì, la prima reazione del presidente Barack Obama è consistita in una nuova richiesta per regole più rigide sul controllo delle armi individuali in circolazione. Dopo il massacro di Charleston, in giugno, la risposta è stata una campagna politica e culturale contro la vecchia bandiera degli Stati Confederati del Sud, sventolata dallo stragista in molte sue foto come simbolo del razzismo. Ma né una bandiera, né la circolazione delle armi sono vere e proprie cause di stragi, semmai sono simboli e strumenti. Per una élite politica e mediatica estremamente laica, una strage di cristiani risulta molto difficile da comprendere.
di Stefano Magni | Lanuovabq.it
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