(La felicità è una scelta che tu fai quando apri il cancello e fai entrare la fede e fai uscire la paura). Avere fede comporta sacrifici ed una vita di rinunce e sofferenze? In molti lo credono, ma la realtà è l’esatto opposto.
Dio non toglie nulla, aggiunge soltanto! Ricordo che qualche anno fa, ad un incontro/presentazione per le scuole medie, nel dibattito che ne seguì una ragazzina prese il microfono e chiese agli adulti: “Vorrei sapere cosa desiderate da noi“. Non fui abbastanza pronto da afferrare il microfono, ma se avessi potuto risponderle, le avrei risposto che noi genitori vogliamo solo la felicità dei nostri figli. Ma una felicità grande, enorme, sconfinata, inattaccabile, inossidabile. Non una felicità passeggera, non una serie di piccole soddisfazioni, ma qualcosa di granitico, eterno. Qualcosa che, anche se prendi un brutto voto a scuola, non ti lascia. Anche se il tuo migliore amico ti delude o ti tradisce, ti rimane. Qualcosa che, anche se la mamma e il papà non ti comprano l’ultimo modello di cellulare o non ti lasciano star fuori fino a tardi, ti rimane. E rimane perchè èfondata su qualcosa di molto più grande di qualunque cosa passeggera che possa attraversare in un dato istante la nostra vita: la certezza di essere figli prediletti del Re dell’Universo, del Padrone del Mondo, del Creatore di tutte le cose, che se è arrivato a dare la Sua Vita per noi, non ci farà mai mancare nulla di ciò che ci serve per essere felici.
E quindi ogni privazione, ogni delusione, sono nulla in confronto a quello che sappiamo avere come eredità, che nessuno ci potrà togliere. Come diceva S.Francesco: “Tanto è il Bene che mi aspetto, ch’ogni pena m’è diletto!”.
Insomma, se la felicità è fondata sulla Fede, su questa certezza assoluta, nulla la può scalfire. E diventa un modo di essere, uno stato continuo, connaturato, impermeabile ai vari acquazzoni della vita. Questa idea, che mi è sempre stata ben presente e viva, trova conferme nelle persone che vedo e che conosco, i miei genitori in primis, che vedo affrontare una splendida e serena vecchiaia, nonostante l’avanzare inesorabile degli anni.
- non è vero che i geni predefiniscono la nostra vita;
- i geni possono essere attivati o meno;
- sono gli stimoli esterni che (attraverso un complesso meccanismo che coinvolge le proteine, gli aminoacidi, ecc. ecc.)attivano o meno le caratteristiche genetiche;
- il nostro organismo, così come le nostre cellule, rispondono agli stimoli esterni secondo meccanismi utili alla nostracrescita e alla nostra conservazione;
- di fronte al pericolo si attivano meccanismi di difesa, di fronte al benessere meccanismi di crescita;
- fondamentale è perciò la nostra percezione della realtà: la lente con cui vediamo la realtà è in grado di influenzare la nostra stessa biologia;
- la realtà non è bella o brutta a priori, non ostile o amica a priori, nella realtà c’è tutto: è il filtro della nostra percezione che ci fa vedere alcune cose o altre.
A questo proposito interessante il giochino delle lenti colorate: come si vede nel video che pubblico qui sotto, che è la parte finale della conferenza citata il nostro invita il pubblico a guardare lo schermo e, a seconda del colore della lente di ciascuno, alcuni vedono la parole “amore“, altri la parola “paura“, a significare che la stessa realtà può venire percepita in maniera diametralmente opposta a seconda che la si guardi con un filtro o con un altro. E siccome la nostra percezione ha un effetto diretto sulla nostra biologia (ad esempio: se percepisco l’ostilità, l’attacco, il mio fisico si comporta di conseguenza, limitando l’irrorazione sanguigna agli organi interni, al cervello, ecc.), questa percezione comporta anche delle modificazioni fisiche al nostro corpo.
Insomma, come scritto nel libro The Biology of Belief (La Biologia del Credere), citato anche qui, noi possiamo creare il paradiso in terra se solo impariamo a leggere la realtà con la giusta lente. E se anche Gesù diceva ai suoi guariti: “la tua fede ti ha salvato“, forse voleva avviarci verso questa conoscenza, come un Padre amoroso non si accontenta di dare un pesce ad un figlio affamato ma vuole anche insegnargli a pescare.
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