Un’Europa nel panico, quella descritta da Juncker nel suo discorso di presentazione del piano della Commissione per affrontare la crisi dei rifugiati; un’Europa “molto carente sulla solidarietà”, in cui “tanti hanno puntato il dito gli uni contro gli altri, ci sono state accuse reciproche e tanti hanno incolpato Bruxelles”.
E poi un invito alla calma: “I numeri sono impressionanti, per alcuni spaventosi. Ma non è questo il momento di farsi spaventare”.
L’esortazione del capo dell’esecutivo europeo, però, non infonde coraggio a tutti, perché i dati riportano cifre esorbitanti. Solo dall’inizio dell’anno sono arrivati in Europa più di 500mila migranti: oltre 200mila in Grecia, 250mila in Ungheria e 120mila in Italia. E il futuro si prospetta ancora più duro: “Almeno 4milioni di profughi sono pronti a partire e arrivare in Europa”, spiega il capo dell’ufficio di Ginevra delle Nazioni Unite, Michael Moeller, intervistato da Associated Press.
E non sono pochi i Paesi che, nonostante l’inversione di tendenza di Germania, Gran Bretagna e Francia sul tema dell’accoglienza, continuano a dirsi insoddisfatti sul lavoro dell’Unione e a esprimere posizioni di rifiuto del piano di gestione dell’emergenza, con toni più o meno veementi. Tutti i Paesi dell’est europa sono quantomeno refrattari al meccanismo di quote obbligatorie in discussione in sede europea, il premier ungherese Viktor Orban ostenta un rifiuto che suona inumano per la civilissima Europa, ma anche il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, non sembra soddisfatto: “Non è sufficiente la riallocazione degli aventi diritto all’asilo entro i confini dell’Unione Europea”.
La prima, tra le molte, ragioni del rifiuto è quella che tocca i cosiddetti Paesi di frontiera o “di primo approdo”, quelli che sono più sconvolti dall’emergenza, che invocano il sostegno dell’Unione e che per i migranti rappresentano le porte dell’Europa. Qui, secondo il piano Junker, 160mila profughi verranno identificati e distribuiti negli altri Paesi membri, secondo uno schema dettagliato. Meno chiaro è però il destino di tutti quelli le cui richieste di asilo non verranno accettate. La Commissione ha elaborato un manuale comune sul rimpatrio e un piano d’azione che definisce le misure a breve e a medio termine, nella speranza di creare presto un regime integrato di gestione dei rimpatri. Ma la prospettiva immediata di tutte le persone rifiutate è quella di rimanere in un “limbo”, espulsi formalmente e clandestini nella realtà. Molti di loro rimarranno nei Paesi di frontiera, molti altri tenteranno comunque di andare in altri Stati membri europei, e questo creerà non pochi problemi per quel che riguarda l’ordine pubblico e la sicurezza.
Così le porte dell’Est Europa mobilitano gli eserciti, a supporto dell’attività delle polizie chiamate a gestire il problema, sempre più massiccio, dell’immigrazione clandestina. Una lotta improba, quella di Bulgaria, Macedonia, Serbia, Slovacchia e Ungheria, contro i trafficanti di esseri umani. Una sfida che fronteggiano da anni, che ha portato questi Paesi a rafforzare progressivamente le misure anti immigrazione, ma che negli ultimi mesi ha assunto sempre più i tratti di una causa persa. Il vicepremier ungherese, Janos Lazar, ha spiegato che il suo Paese in questo momento è “sotto attacco organizzato dei trafficanti di esseri umani, che non solo trasportano migranti, ma li istruiscono su come approfittare del regime per i rifugiati” e spesso distribuiscono passaporti falsi. Le sue esternazioni non sono esagerate, se si considera che l’Europol (Agenzia Ue per la lotta al crimine) ha lanciato pochi giorni fa un allarme, avvertendo che i criminali che si occupano di immigrazione clandestina intorno all’Europa sono 30mila e che, di questi, 27mila si concentrano sulla rotta balcanica, mentre solo 3mila organizzano i viaggi per attraversare il Mediterraneo. Un mercato destinato a crescere quello dei migranti, con una domanda sempre più forte perché sempre più persone fuggono dal Medio Oriente: “il business illegale più redditizio del momento” che, secondo Izabella Cooper, portavoce di Frontex (agenzia di controllo delle frontiere dell’Unione Europea), supera quello del traffico di armi e di droga. Un problema di dimensioni insostenibili, non solo per i nostri partner europei, per i quali è impossibile controllare l’esatta identità delle masse di disperati che si accalcano ai loro confini, ma anche per i Paesi balcanici come la Macedonia e la Serbia che, con disoccupazione alta e risorse limitate, già faticano a far fronte all’emergenza che richiede ingente impegno economico. E nel piano Junker non sono previste misure specifiche per arginare il problema.
Un’altra questione da non sottovalutare è poi quella dei profughi dimenticati, quelli che bussano dalla guerra a noi più vicina, ma dai media meno considerata: l’Ucraina orientale. Il conflitto in Donbass, in atto dall’aprile dello scorso anno, ha costretto 2 milioni e mezzo di persone a spostarsi. L’ultimo report di Unhcr (14 agosto) riporta cifre da brivido: quasi un milione e mezzo di sfollati interni e 924mila persone che chiedono asilo o che cercano di formalizzare in altro modo il loro ingresso in altri Paesi. Gli ucraini che hanno chiesto asilo in Europa sono già quasi 16mila, senza contare quelli che fanno appello ad altre forme di accoglienza. Per ricevere asilo politico quasi 5mila hanno bussato alle porte della Germania, 3700 a quelle della Polonia, quasi 3mila alle nostre, in Italia, e poi ancora in 1763 in Francia, 60 in Ungheria e 20 in Slovacchia. Secondo Deutsche Welle, la compagnia tedesca di informazione internazionale, le domande degli ucraini non sono ancora state esaminate dalla BaMF (Ufficio Federale dell’Immigrazione e dei Rifugiati), perché le richieste dei rifugiati provenienti da Siria, Eritrea e Iraq hanno la priorità, almeno per il momento. Ma la pressione più forte rimane quella sull’Est Europa, e in particolare sulla Polonia, che intende sì prendere parte alla redistribuzione dei profughi, ma che cerca in ogni modo di negoziare sui numeri, per ridimensionarli. Il piano Juncker prevede di mandare in Polonia 9287 rifugiati: la premier Ewa Kopacz, ha timidamente espresso riluttanza ad accettarne più di 2mila, facendo presente la situazione ucraina e sottolineando che, se il conflitto dovesse acuirsi, per il suo Paese si tratterà di gestire una vera e propria emergenza. Meno morbido il Presidente della Repubblica polacca, Andrzej Duda, che ha apertamente parlato del fatto che “l’aggressione russa all’Ucraina viene pericolosamente marginalizzata” dalle istituzioni europee.
Duda ha poi attaccato “gli stati più forti” dell’Unione perché, a sua detta, “stanno sfruttando vantaggi economici e demografici per imporre soluzioni agli altri Paesi, senza tenere in considerazione le loro specificità”. A supporto della sua posizione, un’inchiesta del quotidiano britannico Independent che, nell’indagare le cause dei vantaggi per alcuni Stati dell’accettazione delle richieste d’asilo, spiega che Paesi come la Polonia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, non hanno nessun problema di invecchiamento della popolazione e non traggono alcun vantaggio a livello demografico dall’accoglienza.
Ai profughi dimenticati si aggiungono poi quelli “depennati”: la Germania ha appena approvato un pacchetto di misure per affrontare l’emergenza, e tra queste c’è una legge che includerà Albania, Montenegro e Kosovo tra i “Paesi sicuri”, in modo tale che i migranti provenienti dai Balcani occidentali (Serbia, Macedonia e Bosnia sono stati dichiarati sicuri lo scorso inverno) non avranno diritto all’asilo se non potranno dimostrare di essere politicamente perseguitati. E lo stesso probabilmente accadrà presto in Europa, dato che uno dei punti forti del piano Juncker è quello che prevede di stilare una “lista di Paesi di origine sicura”, di cui faranno parte anche tutti gli Stati candidati all’Unione Europea, quindi tutti i Paesi dei Balcani occidentali (Ndr.Candidati: Islanda, Macedonia, Turchia e Montenegro. Candidati potenziali: Albania, Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo). Questo creerà non pochi problemi ai Paesi est europei, dato che le tensioni delle guerre degli anni ’90 sono ancora molto vive in quest’area. Basti pensare al tentativo di linciaggio che ha subito a luglio il premier serbo, Alexander Vucic, in occasione delle celebrazioni per il ventennale di Srebrenica.
L’esortazione di Juncker ad “accettare le persone in fuga”, non è facile da accogliere per tutti allo stesso modo, dunque. Per questo il nostro ministro degli Esteri ha parlato di “proposte che hanno uno spirito giusto, ma che continuano a non prendere sufficientemente in considerazione il carattere permanente della sfida che abbiamo davanti”. L’Italia continuerà a impegnarsi per ottenere un asilo europeo e rimpatri gestiti e finanziati a livello europeo”. Lo stesso faranno i Paesi dell’Est. La prima riunione dei ministri degli interni è attesa per il 14 settembre e si prospetta difficile. La speranza è quella di dar vita a un meccanismo che porti avanti un’azione davvero “audace e concertata”.
di Valentina Cominetti | Lanuovabq.it
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