Frutti di penitenza

razza di vipereGIUSEPPE MANAFO’ – Matteo 3: 7-8 – Ma vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? 8 Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento.

Giovanni Battista, anche se visse una vita solitaria nel deserto, era divenuto popolare. Egli appari come un lampo con lo spirito del profeta Elia ed il deserto stesso non era più un posto solitario, perché moltitudini da Gerusalemme, dalla Giudea e dai paesi intorno al Giordano, accorrevano a lui. Molti venivano per udire un gran predicatore ma i loro cuori non furono toccati, e quindi non si convertirono. Forse essi furono attratti dalla corrente dell’opinione pubblica, perché come sempre, la folla attira la folla.

Giovanni però non si lasciò lusingare dalla loro ipocrisia. Essi volevano essere battezzati ma non erano disposti a pentirsi del loro peccato, nè sentivano il bisogno di un cambiamento di vita. Infatti egli non accettò la lor formalità, ma li rimproverò, e con sdegno fece loro capire che la loro presenza non era affatto gradita.

Così mentre da un lato notiamo che egli predica con amore e dolcezza ai semplici, a quelle persone che vivevano nel deserto lungi dalla vanità e dalle tentazioni della città, dicendo: “Ravvedetevi, poiché il Regno dei cieli è vicino”, dall’altro lo vediamo, con coraggio e franchezza dire ai Farisei e ai Sadducei: “Razza di vipere, chi v’ha insegnato a fuggire dall’ira a venire? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento”. In altre parole, se volete essere battezzati e professate la penitenza, mostrate i frutti del vostro ravvedimento; ma se dite di essere pentiti, perché persistete nel vostro peccato ? Come ministro di Dio egli dichiarò apertamente e senza paura il loro stato peccaminoso.

Ma Giovanni non era venuto per impaurire e scacciare fuori del Regno le persone; egli era l’uomo di Dio per quel tempo e il suo lavoro era di preparare la Via del Signore. Era contento quando le persone venivano a lui col cuore rotto e contrito per far ritorno alla via di Dio, ma era altresì severo verso quelli che avevano un’apparenza di pietà. Ci vuole uno spirito di discernimento per distinguere fra i due tipi di persone e Giovanni era dotato di quello spirito e perciò poteva proclamare con autorità il messaggio che sentiva nel suo cuore. Non si faceva facilmente lusingare o adulare dai rappresentanti religiosi né da quelli politici. Egli non era affamato né era un ricercatore di folle perché aveva deciso fin dal principio del suo ministero di essere fedele alla sua chiamata, e perciò né pochi né assai potevano distrarlo dal suo compito importante.

In questi giorni c’è tanto bisogno di servitori del Signore col carattere di Giovanni Battista, servitori decisi di proclamare tutto il consiglio di Dio al popolo, persone che a nessun costo siano pronti a diluire né a compromettere il messaggio dell’Evangelo per amore della folla. Vi sono forse di quelli che credono che lo sviluppo e il progresso numerico siano l’unica evidenza del successo. Questa opinione non trova base né conferma nelle Scritture, anzi al contrario, nella Parola di Dio troviamo degli esempi come quello di Noè che dopo aver annunziato il messaggio di Dio per ben 120 anni, solo otto persone entrarono nell’arca e come quello di Gesù stesso, che dopo tre anni di ministerio solo pochi lo seguirono. Come la moltitudine più di una volta voltò le spalle a Cristo dicendo: “Questo parlare è duro”, co si la folla si è sempre allontanata dal puro evangelo in ognitempo. Si, ognuno desidera e desiderare l’aumento numerico, ma i servitori del Signore si guardano bene a non volerlo a costo della verità, ma lo vogliono soltanto come risultato della pura predicazione della Parola di Dio predicata sotto l’impulso dello Spirito Santo, perché sanno che solo “l’evangelo è la potenza di Dio in salvezza ad ogni credente”.

Nessuno poté turare la bocca a Giovanni Battista; egli predicava e dichiarava quel che credeva. Ai suoi discepoli disse senza esitare: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Ai sacerdoti rispose: “Io non sono il Cristo”. Al re Erode dichiarò: “Non ti è lecito aver la moglie di tuo fratello Filippo”; e ai Farisei e Sadducei del nostro testo disse: “Fate f rutti degni della penitenza”.

Il pentimento non dev’essere causato solamente da una semplice emozione o da una influenza momentanea, ma deve essere determinato da una ferma volontà di mente e di cuore. Il pentimento è un sincero desiderio di una rinunzia alla vita passata e un’onesta determinazione di piacere a Dio.

Questo pentimento si manifesta nella condotta. Se la condotta rimane la stessa, se il peccato continua a manifestarsi con la stessa facilità che nel passato, se le usanze mondane a poco a poco non scompaiono, se i vizi trovano sfogo nella medesima frequenza, allora sorge la domanda: Dove sono i frutti della penitenza? Nessuno fa dietrofront al passato per incamminarsi verso la luce, la purezza e la santità, senza mostrare risultati opposti alla sua condotta. H cambiamento non avverrà immediatamente, ma è necessario un progresso continuo nella misura che passo per passo ci avviciniamo a Dio, e i frutti son quelli che confermano la sincerità del nostro pentimento.

Gli ipocriti saranno sempre presenti nella chiesa, ma non è detto che essi debbano essere incoraggiati col nostro silenzio, indisturbati, accettati e graditi. Iddio ha sempre avuto ed avrà sempre un messaggio per loro quando vi sono dei Giovanni Battista che coraggiosamente chiedono l’evidenza e i frutti del loro pentimento e della loro salvezza.

Zaccheo fu uno dei veri penitenti senza che abbia detta una parola di pentimento. Quando la presenza di Cristo gli fece capire ehi egli era, immediatamente mostrò il frutto del suo ravvedimento dicendo: “darò metà dei miei beni ai poveri e restituirò a quattro doppi a chi ho frodato”. Chi è davvero pentito mostra nella parola e nel contegno che è cambiato, e si studia a riparare per quanto può dove fu più mancante. “Se dunque uno ò in Cristo, egli è una nuova creatura” (2 Cor. 5:17).

E vero pentimento produce il pianto e il dolore per le offese fatte contro a Dio e contro al prossimo, ed in quel momento il peccatore si sente di rinunziare con ferma decisione al male e al peccato che controllavano la sua vita passata e sente la necessità di convertirsi a Dio. La sua decisione sarà come quella dell’apostolo Paolo: “Per me il vivere è Cristo” e “Non più io vivo, ma Cristo vive in me”.

Dio non richiede i frutti di una vita religiosa, di una pietà apparente, di una vita cristiana superficiale, ma i frutti di un vero e sincero pentimento di una vita umile che non desidera più vivere per se stessa ma brama vivere per Colui che morendo sulla croce offrì il perdono, la pace e la vita eterna.

da: chiesadiroma.it//

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