ADULTERIO E IDOLATRIA – Sette è un numero speciale, impegnativo. In ebraico shiv’ah (= “sette”) e shevu’ah (= “giuramento, patto”) hanno la stessa radice, probabilmente il settimo è un comandamento molto più complesso di quello che può apparire ad una lettura superficiale.
Normalmente si è portati ad associare il settimo comandamento cioè: “non commettere adulterio” ad un problema di relazione, di amore, di passione, e lo si giudica secondo il registro dell’infedeltà. Insomma, se ne fa un problema morale. Forse però non è questo il vero focus del comandamento. Secondo il diritto ebraico, sorprendentemente, l’adulterio ha luogo soltanto se l’altra donna è sposata, cioè concerne esclusivamente la relazione di un uomo, sposato o meno, con una donna sposata. Ovviamente con questo non vogliamo avallare in alcun modo promiscuita o disordini sessuali, infatti è giusto ricordare che la Bibbia tratta la sfera sessuale dell’Uomo in molti altri passi ed in modo molto più approfondito, ma il settimo comandamento, se diamo per buona l’interpretazione ebraica, fa riferimento solo ed esclusivamente al divieto dei rapporti con una donna sposata. Perchè?
I comandamenti si ripartiscono su due tavole, cinque per ciascuna, che si corrispondono a due a due. In generale i primi cinque esprimono il rapporto tra Dio e Uomo, i restanti tra uomo e uomo. Nella prima tavola il Nome di Dio è dominante, nella seconda assente. In tal senso questo comandamento è collegato con il divieto di adorare gli dei degli altri. Il verbo usato per indicare l’adulterio di donna e di Divinità è lo stesso: Tinàf.
Non è un caso che molte volte i Profeti di Israele si servono dell’immagine della donna adultera per descrivere il “tradimento” operato dal popolo d’Israele che ha abbandonato il Suo Dio per seguire divinità aliene. Ne sono testimonianza il terzo capitolo di Geremia e di Osea. Il rapporto con Dio è concepito come un rapporto coniugale, di fedeltà esclusiva. Dio lo Sposo (Ish) e Israele la sposa (Ishah) si cercano, si scoprono si uniscono, si perdono si ritrovno attraverso l’infanzia, la pubertà, i fidanzamenti, gli sposalizi, i dovorzi, le vedovanze e i nuovi incontri. Il potere di risollevarsi è inesauribile. Se la moglie adultera non può più essere ripresa dal marito, Dio è disposto a riavviare il rapporto con Israele in qualsiasi momento purché ci sia Teshuvah.
Se è vero che l’idolatria è legata all’adulterio è però anche vero il processo inverso. L’adulterio è veicolo di idolatria, con tutte le tragiche conseguenze del caso. Quando i Moabiti vogliono stornare da sè il pericolo della conquista israelitica, mettono a disposizione degli Ebrei nel deserto le loro donne, le quali li attraggono al culto orgiastico del Belfagor (Num. 25, 1). Simbolo di spregiudicata dissolutezza e quindi di dissoluzione.
IL MONDO CHE VIENE VERSO DI ME
Nel testo del Levitico al capitolo 18 si parla delle relazioni sessuali proibite e troviamo questa affermazione solenne: “Io sono l’Eterno vostro Dio. Quello che si fa nel paese d’Egitto in cui avete abitato, voi non lo farete. E quello che si fa nel paese di Canaan verso il quale andate, non lo farete” Questo discorso è stato pronunciato nel deserto tra l’Egitto e Canaan. Quindi, non ci si deve comportare come gli abitanti di questi due paesi:“Non seguirete le loro leggi sociali. Adempirete alle Mie. Voi adempirete e osserverete i Miei rituali privati. Io sono il Tetagramma, vostro Dio. Rispetterete le Mie leggi sociali e conserverete i Miei rituali privati; l’uomo vi edempirà e vivrà in essi: Io sono il Tetagramma”. E’ inaspettata e sorprendente la formulazione “…e vivrà in essi”. Veniamo trasporati nel futuro. Secondo Rashì si può interpretare: “vivrà nel mondo futuro”, letteralmente l’ebraico dice olam habà, un espressione che bisognerebbe tradurre con il “mondo che viene”, “il mondo che sta per venire”: riguarda la capacità che ogni singolo ha di iscriversi nella storia che sta per realizzarsi. “Il mondo futuro”, in questo passo, è il mondo che viene verso di me, il mondo che sta avvenendo. Ciò vuol dire che non dobbiamo seguire gli insegnamenti Divini e poi, eventualmente, vivere, ma piuttosto comprendere che questi insegnamenti propongono un principio di vita che si colloca sin dall’inizio nell’ordine della trasmissione e della filiazione. Vivere vuol dire trasmettere vita, il che va molto oltre il problema biologico: vuol dire trasmettere principi sociali, vuol dire che coloro che verranno dopo saranno anch’essi capaci di dare un senso al mondo, rivestendolo di significati.
UNA RIVOLUZIONE SENZA CAMBIAMENTO
Nei vangeli l’argomento dell’adulterio è trattato in diversi passi. In Matteo al capitolo 5,27-28 Gesù disse: “«Voi avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Ma in un altra occasione invece troviamo Gesù (Giovanni al capitolo 8), chino sulla polvere a scrivere e con pochi gesti e parole cambia la condanna di un adultera. La cosa sorprendente è che se da un lato Gesù dà un interpretazione ancora più rigida del settimo comandamento, slegandolo dall’azione e imputandolo al pensiero, dall’altro si preoccupa di intervenire in una condanna a morte per adulterio. Quindi da una parte estremizza ma dall’altra allevia la punizione.
Ma v’è di più, se scorriamo il dito a ritroso nel capitolo 5 di Matteo, arriviamo al versetto 17 in cui Gesù nel modo più chiaro possibile afferma: “17 Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18 In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto”.
Siamo di fronte ad un paradosso, una rivoluzione senza un cambiamento. Da una parte la Legge è confermata ed anzi portata all’estrema interpretazione ma dall’altra Gesù stesso si preoccupa di intervenire durante l’esecuzione di una condanna alleviandone la pena.
La soluzione, probabilmente, potrebbe essere nel capitolo 8 di Giovanni dove, come abbiamo già detto, troviamo Gesù a scrivere sulla polvere del suolo. Non sappiamo cosa abbia scritto (sappiamo solo quello che ha detto), Matteo non sà o non si preoccupa di farcelo sapere, forse vuole che ci concentriamo sul gesto. Perché scrive sulla sabbia? Sappiamo che di Sabato è proibita la scrittura a meno che non sia fatta su polvere o sabbia, ma quel giorno non poteva essere Sabato, infatti non si eseguono condanne di Shabbat. Eppure quel gesto di scrivere sulla polvere forse è la chiave, forse racchiude il messaggio. Probabilmente Gesù, con quel gesto, stava evocando un tempo futuro in cui anche quel giorno sarebbe stato Sabato perché ogni giorno sarà Shabbat e quel tempo non può essere altro che il Suo cioè l’era Messianica che gli ebrei chiamano anche: “Sabato universale”, poiché in esso saranno riposo concordia e pace nel senso di pace con Dio, tra gli uomini e nel cuore di ogni uomo.
Quel gesto di scrivere sulla sabbia è una scheggia di eternità, ci parla di un tempo che è ormai alle porte!
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