Nella gara di Corano il primo premio è una schiava

img-_innerArtFb-_co2Lo Stato Islamico in Libia non solo si rafforza allargando i territori sotto il suo controllo tra Sirte e Agedabia, ma trova persino il tempo per dedicarsi alle attività culturali per ribadire il tipo di società che punta ad instaurare. La notizia diffusa sabato dalle agenzie è di un concorso di recitazione di versetti coranici aperto a miliziani dell’Isis (almeno 3 mila secondo le ultime stime) e simpatizzanti della Cirenaica che si cimenteranno in una gara in cui dovranno dimostrare di aver studiato una selezione delle 114 sure del Corano recitandole con maestria. Il bando è stato diffuso su internet in occasione del Ramadan, il mese del digiuno islamico, con l’invito a iscriversi al concorso presso gli imam di moschee che sostengono l’Isis elencate con precisione.

L’aspetto più interessante (per così dire) riguarda però i premi in palio che per i primi tre classificati è rappresentato da una schiava. Solo denaro invece per chi si posiziona tra il quarto e il decimo posto. Il bando non specifica quali differenze vi siano tra la schiava riservata al vincitore e le altre due che saranno assegnate a chi dimostrerà una tale maestria nel recitare i versetti del Corano da meritarsi di salire sul podio. Forse al primo classificato andrà in premio la schiava più bella? Difficile a dirsi anche perché il concetto di bellezza è soggettivo. Forse il vincitore potrà scegliere la preferita tra le tre donne messe in palio? Considerata la tendenza diffusa nel mondo islamico, probabilmente la schiava destinata al vincitore sarà la più giovane (magari una bambina?) mentre il secondo e terzo classificato si dovranno accontentare di schiave più “vecchie” (forse già adolescenti?). Da dove vengano queste schiave il bando non lo precisa. Potrebbero essere “prede belliche” catturate nelle recenti battaglie in territorio libico oppure yazide o cristiane catturate in Iraq e Siria e poi trasferite in Libia insieme alle centinaia di combattenti dello Stato Islamico che nei mesi scorsi hanno raggiunto la Cirenaica.

In aprile il quotidiano turco Hurryet aveva pubblicato le testimonianze di alcune schiave yazide che avevano raccontato di essere state vendute più volte, stuprate e torturate dai loro “padroni” prima di riuscire a fuggire e raggiungere le linee curde nell’Iraq del nord. Dalia, 19 anni, raccontò di essere stata venduta per sette volte e di essere stata violentata tutte le volte. Costretta a convertirsi all’Islam, è stata trasferita insieme ad altre giovani yazide in una scuola di Tel Afar, dove jihadisti arabi, turchi, tedeschi o ceceni andavano a sceglierle e portarle con sé. Il suo primo aguzzino era un turkmeno, che per cinque mesi l’ha tenuta in casa, insieme alla moglie e ai figli, abusando di lei. «Un giorno sono stata prelevata da un emiro dell’Is che si chiamava Abu Mustafa, che mi ha consegnata come un regalo a un ceceno di nome Aymen», ha raccontato. Aymen la prendeva per i capelli e le immergeva la testa nella benzina. «Siete così sporche» , diceva prima di stuprarla, «è così che vi puliamo».  Dalia è  stata poi scambiata con un’altra ragazza yazida, restituita al ceceno, venduta a un arabo di Mosul che la «stuprava ogni notte», venduta a un medico di Tel Afar e infine a un arabo di Kirkuk. «Mi rivelò che non mi aveva comprata per violentarmi», ha raccontato, «ma per liberarmi e portarmi nel Kurdistan».

La 20enne Leyla è stata rapita nel villaggio di Kocho il 15 agosto scorso. Dopo mille peripezie è stata portata a Raqqa, la capitale dello Stato Islamico in Siria e venduta insieme a un’altra ragazza a un uomo che l’ha riportata in Iraq, a Husaybah. Rivenduta a un altro jihadista, è stata portata nuovamente in Siria, ad Aleppo, dove ha subito violenze per otto mesi. Poi ceduta a un egiziano che l’ha portata a Raqqa, dove la stuprava tenendole un cappuccio sulla faccia. «Ho pensato più volte di suicidarmi», ha raccontato, «ma poi ho desistito perché ho pensato che la mia famiglia non avrebbe mai ritrovato il mio corpo». Un giorno, rimasta sola a casa, è riuscita a telefonare a uno zio, che tramite un amico di Raqqa è riuscita a metterla in salvo e a portarla in Turchia. Selma, di 26 anni, è stata fatta prigioniera mentre era incinta e insieme al figlio di 4 anni. Ha partorito mentre era rinchiusa in un edifico a Raqqa insieme a 500 altre donne yazide. Venduta insieme ai figli per 2.600 dollari, è stata portata ad Aleppo, quindi rivenduta per 4.000 dollari. Un giorno è riuscita a impossessarsi di un cellulare con il quale ha chiamato il marito che, per liberarla, ha comprato lei e i figli per 20.000 dollari.

Rocambolesca anche la storia di Bahar, appena 15enne, resa schiava insieme alle cugine di 24 e 19 anni da un jihadista saudita. «Ci picchiava ogni giorno e ci stuprava ogni notte» , ha raccontato al giornaleHurriyet. «Sua moglie ci diceva che ci avrebbe voluto aiutare, ma non poteva». Alla fine il saudita è partito per Kobane, a combattere contro i curdi, e le ha consegnate, insieme a una quarta ragazza yazida, a un altro jihadista. La quarta ragazza è riuscita a contattare uno zio, che ha pagato un uomo di Raqqa, dove si trovavano, perché le portasse in salvo, oltre il confine con la Turchia. Migliaia di donne yazide e cristiane restano però schiave in balìa dei loro aguzzini o destinate a venire cedute ai miliziani dello Stato Islamico o messe in palio nei concorsi indetti dal Califfato come quello in Cirenaica in cui l’assegnazione dei “premi” è fissata per la festa dell’Id al-fitr, la fine del Ramadan iniziato quattro giorni or sono.

È noto che per lo Stato islamico la schiavizzazione di donne non-musulmane è una pratica diffusa, un fenomeno che nell’ottobre scorso il Califfato ha definito legittimo in un lungo articolo pubblicato sulla rivista Dabiq, uno dei suoi organi ufficiali. La legittimità del rapimento e della riduzione in schiavitù sessuale delle donne degli “infedeli” è infatti prevista dalla legge islamica, con un’interpretazione della sharia che però è respinta dalla stragrande maggioranza del mondo musulmano. Almeno ufficialmente perché non risultano al momento esserci state condanne esplicite negli ambienti islamici alla pubblicazione del singolare bando per il concorso di poesia dell’Isis libico. Negli ultimi giorni le milizie del Califfato sono state cacciate da Derna dalla popolazione infuriata mentre l’esercito libico (quello del governo laico di Tobruk) ha annunciato di aver ripreso la zona di Ra’s Al Hilal, circa 50 chilometri a ovest della città. La perdita di Derna non significa però che l’Isis sia stato espulso da quella zona ma più facilmente che i miliziani si siano ritirati sulle colline del Jebel el-Akdar che negli anni ’90 fu la culla del jihadismo libico. L’Isis è comunque presente in diverse altre aree della Cirenaica, controlla almeno 150 chilometri di costa intorno a Sirte mentre a Bengasi le milizie qaediste di Ansar al-Sharia hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico.

di Gianandrea Gaiani

da: Lanuovabq.it/

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