Nel suo libro sulla paura come concetto politico, Corey Robin, ricercatore presso l’Università di Yale negli Stati Uniti, spiega che la prima emozione percepita dall’uomo è… la paura. Una volta consumata la mela, la punizione divina – l’espulsione dal giardino dell’Eden – generò un senso di sgomento nei progenitori biblici della nostra umanità. Da Adamo ed Eva fino allo Stato Islamico, per esempio attraverso la diffusione delle malattie, le migrazioni di massa, la minaccia anarchista e il totalitarismo statale la paura ha dimostrato la sua dimensione sociale e globale. Oggi forse più di ieri, la paura popola tutti i settori della vita politica ed alimenta la retorica degli elettori come degli eletti.
Vorrei riflettere sulla situazione del Medio Oriente attraverso l’idea di paura. Mi interessa in particolare la relazione tra la paura e l’Arabia Saudita. Vorrei approfondire questo tema perché si considera che la politica estera dell’Arabia Saudita è guidata da un irrazionale terrore dei propri vicini, almeno fin dall’anno 1979. A questo punto è necessaria una breve spiegazione di tipo storico.
L’anno 1979 fu l’anno della rivoluzione in Iran, una sollevazione che portò all’esercizio diretto del potere il clero sciita, confessione islamica spesso contrapposta nella storia a quella dei sunniti, e in particolare i suoi portavoce più rivoluzionari, come l’Ayatollah AlKhomeini. Oltre a modificare il quadro geopolitico della regione (il governo dell’Iran aveva interessi territoriali rispetto al Regno) per l’Arabia Saudita la rivoluzione significò anche una perdita sul monopolo dei credenti religiosi. Nel 1979 l’umma, la comunità dei credenti islamici, rischiava una divisione ancora più grande di quella dell’origine dell’Islam. Per ciò l’Iran concretizza le paure politiche, religiose ed economiche del Regno a partire da questo momento, il 1979.
La paura e la ragione non si escludono a vicenda: la letteratura orientalista sui paesi arabi, o piuttosto sui paesi islamici, spesso esclude la ragione dall’analisi delle politiche di questi attori. I musulmani, secondo l’orientalismo banale e più retrivo, pensano solo in termini religiosi o con la passione dei credenti. Così la paura dell’Arabia Saudita si tradurrebbe in un confronto irrazionale con l’Iran. Nonostante la profonda rivalità tra questi due attori, la paura saudita non si traduce in decisioni irrazionali: al contrario, le decisioni seguono una razionalità incontestabile, per quanto molto discutibile. La manipolazione dei prezzi del petrolio oppure l’intervento in Yemen rappresentano decisioni logiche se si considera il potere militare ed economico dell’Iran come una minaccia.
Questo punto è legato a un altro : la paura non conduce sempre alla paralisi. Infatti, con la paura si sviluppa il bisogno di sopravvivere. Quindi, in tempi di paura non si ferma l’attività politica: al contrario, la minaccia e la paura creano nuove regole del gioco politico. Anzi, da che mondo è mondo, la paura è anche uno strumento di governo di cui hanno bisogno tutti i regimi, sia quelli democratici, sia quelli autoritari. Nel caso dell’Arabia Saudita, questo si argomenta in maniera semplice. Lo spauracchio dell’Iran ha giustificato il Regno di dare luogo a molteplici iniziative come la creazione del Consiglio per la Cooperazione del Golfo, la marginalizzazione della minorità sciita nell’ Est del paese. La repressione contro tutti i movimenti sociali nel Regno si basa sull’idea che senza la monarchia saudita, nel Golfo ci sarebbe il caos, causato dall’ Iran.
Governare con la paura non equivale a seminare il terrore. Lo vediamo anche nel caso dell’Arabia Saudita e dell’ Iran. In questi casi, osserviamo due aspetti importanti della paura come strumento di governo. Primo, il despota non è la caricatura del tiranno che immaginiamo (violento, appassionato, prigioniero delle sue emozioni). I Re dell’Arabia Saudita hanno dimostrato forse una certa paranoia verso l’Iran, ma non hanno agito in modo violento e fine a sé stesso. Non c’è stata una guerra tra i due paesi e l’Arabia Saudita non ha chiuso la porta ai negoziati con la Repubblica Islamica nel caso recente del nucleare iraniano (anche se non era presente). Secondo, la paura non è una emozione individuale, ma è un sistema che funziona con diversi attori. Un sistema di paura è composto da tre attori. Chi provoca la paura (il persecutore), chi ha paura (la vittima), gli alleati.
Rispetto a queste categorie, l’Arabia Saudita ha provato sin dal 1979 a unificare in un unico blocco i Paesi che si opponevano alla repubblica dell’Iran. Con gli Stati Uniti, come con la comunità dei credenti musulmani con la creazione della World Muslim League, oppure con i suoi vicini, i piccoli emirati del Golfo. Questi alleati seguono una gerarchia della paura – questo significa che la paura saudita si trasferisce ad altri attori che possono o meno far fronte ai timori sauditi. Ad esempio, gli Stati Uniti possono, date le loro capacità, cercare di mitigare l’angoscia saudita – i tentennamenti nel siglare un accordo con l’Iran sul nucleare ne sono testimoni. Al contrario, i vicini come gli UAE si conformano ancora alla volontà saudita : un esempio recente è dato dalla velocità con cui questi Stati si sono subito aggiunti allo sforzo saudita in Yemen per difendere una maggioranza sunnita nel paese nei primi mesi del 2015. Rispetto a questi alleati, l’Arabia Saudita prova a utilizzare la minaccia come incentivo per mantenere uno status quorispetto all’Iran. La politica in Yemen, il terrorismo, le limite imposte all’esercizio democratico, la manipolazione dei prezzi del petrolio, la crescita esponenziale bilancio della difesa, sono alcuni degli assi nella manica saudita.
Più provocatoria è l’idea che il sistema della paura non possa funzionare senza il ruolo continuato del persecutore. In questo caso, sembra che l’Iran abbia volontariamenteincoraggiato la paura saudita. Ad esempio, un precedente Re considerava la vittoria del conservatore Ahmadinajad nel 2009 come una svolta positiva per la stabilità e la legittimità del Regno Saudita. La paura ha bisogno di un persecutore per funzionare.
In conclusione: come mantenere la paura come strumento di governo durevole nel tempo? Le azioni dell’Arabia hanno forse una efficacia, ma non nel lungo periodo. Si vede ora che bloccata per il possibile accordo tra Stati Uniti e Iran, l’Arabia Saudita non ha una strategia regionale a lungo termine. I suoi movimenti in Yemen rischiano di diventare un disastro per la sua immagine nel mondo occidentale come paese musulmano (non dobbiamo dimenticare che la popolazione in Yemen è principalmente musulmana, sia sunnita che sciita). Dovremmo forse porci la domanda di come potrebbe funzionare il governo l’Arabia Saudita senza l’ingombrante presenza dell’ Iran nella politica interna: quali giustificazioni sarebbero allora utilizzate per i problemi delladisoccupazione, della radicalizzazione della gioventù, che stanno crescendo nel Regno? In sintesi, la razionalità provocata dalla paura è limitata a un breve arco temporale. E poi genera mostri.
Martin Lestra
da: Unimondo.org/
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