Per raggiungere la “terra promessa” dell’UE migliaia di migranti affrontano un lungo viaggio attraverso la Turchia, la Grecia, la Macedonia e la Serbia fino alla frontiera ungherese. (Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin) Ogni sera sono in decine a vagare per le strade polverose di Lojane, un villaggio albanese nel nord della Macedonia, situato a qualche centinaio di metri dalla frontiera serba. I locali hanno a lungo praticato il contrabbando di benzina e di sigarette, ma da cinque anni si sono riciclati in un commercio ben più lucroso, quello dei migranti. I droghieri del villaggio parlano le tre parole d’inglese che permettono di capirsi sul prezzo dei pomodori e delle scatole di conserva, le cantine delle case sono state riempite di materassi per quelli che hanno ancora cinque euro per regalarsi una notte all’asciutto.
La via dei Balcani
Per gli altri ci sono accampamenti di fortuna allestiti dietro gli ultimi tetti della borgata, in attesa dell’oscurità, quando si addentreranno nei boschi e risaliranno verso nord. La maggior parte dei migranti che arrivano in questo villaggio sono per strada già da mesi e hanno camminato per circa 200 chilometri dalla frontiera meridionale della Macedonia.
La “via dei Balcani”, che passa per la Macedonia, la Serbia e l’Ungheria, è la più breve via d’accesso all’Europa occidentale per i migranti provenienti dal subcontinente indiano, dall’Afghanistan o dalla penisola araba. Ma di fronte all’intensificazione dei controlli nel Mediterraneo e ai pericoli della traversata in mare, sono sempre di più i migranti dell’Africa occidentale o del Maghreb che raggiungono la Turchia in aereo prima di varcare clandestinamente il fiume Evros che marca la frontiera con la Grecia e la Bulgaria.
Le polizie sopraffatte
Sofia ha costruito un “muro antimigranti” per bloccare i profughi siriani che affluiscono dal 2011, con il risultato che il flusso viene deviato su altri itinerari. Il viaggio è lungo, ci vuole spesso un anno intero per arrivare alla destinazione finale, ma dall’inizio della primavera tutti gli osservatori constatano un aumento drammatico del numero dei clandestini. Le guardie di frontiera bulgare notano che il flusso giornaliero è triplicato. Succede lo stesso in Macedonia e in Serbia, dove la polizia è sopraffatta.
Lojane è una delle principali “giungle” dei Balcani – il termine di origine pashtun designa ormai universalmente i terreni in cui si insediano i migranti a ridosso di una frontiera. L’obiettivo è di passare al più presto in Serbia, ma dall’altro lato dei boschetti che segnano il confine tra i due Stati la polizia vigila. Il valico di frontiera è ufficialmente chiuso. Molti vengono fermati e poi deportati verso Lojane, senza lasciare tracce nelle statistiche ufficiali. Ogni sera, tuttavia, sono decine i migranti che tentano nuovamente di passare. Una volta arrivati nella vicina città serba di Presheva, un biglietto del pullman per il nord del paese costa soltanto una quindicina di euro.
Un viaggio terribile
Dall’inizio della primavera quasi 200 persone dormono ogni sera nel giardinetto pubblico situato davanti alla stazione degli autobus di Belgrado. Sempre più migranti riferiscono storie terrificanti della loro traversata della Macedonia: violenze, aggressioni da parte di bande organizzate, racket. La polizia macedone sembra poco incline a controllare la situazione e alcuni sospettano persino che sia a volte in combutta con i passatori. “I macedoni sono sopraffatti”, spiega un diplomatico occidentale in servizio a Skopje. “Non sono in grado né di arginare il flusso, né di offrire condizioni di accoglienza dignitose ai migranti che chiederebbero asilo in questo paese. La Macedonia ha firmato le convenzioni europee in materia di migrazione, ma oggettivamente non è più in grado di assumere gli obblighi che ne derivano”. Tra i principali problemi che si pongono al paese figura l’assenza di convenzione di riammissione con la Grecia, in quanto i due paesi sono ancora in conflitto a proposito del nome della Macedonia, che Atene contesta. In queste condizioni la Macedonia, non potendo ricondurre i migranti alla frontiera greca, preferisce lasciarli proseguire verso la Serbia. La missione europea Frontex, incaricata di controllare i flussi migratori, è, dal canto suo, quasi assente dal paese.
Anticamera d’Europa
Tutta la miseria del mondo si ritrova in seguito nell’immenso campo allestito in prossimità di Subotica, alla frontiera settentrionale della Serbia. Fumi s’alzano sotto le fustaie cosparse di immondizia, vestiti abbandonati e imballaggi alimentari si ammucchiano in una ex fabbrica di mattoni che talvolta serve da riparo ai migranti. Gli accampamenti si organizzano per comunità, sotto l’autorità di un “capo” che negozia con i passatori e si incarica di trovare cibo. I rapporti tra i diversi gruppi sono a volte tesi, gli incidenti servono da pretesto alla polizia serba per effettuare incursioni e bruciare i ripari di fortuna costruiti nei boschi.
Nel 2014 quasi 16.500 profughi hanno richiesto l’asilo in Serbia, contro 5.066 nel 2013 e 1.800 nel 2012. Nessuno di loro prevede di restare in Serbia, ma la procedura permette loro di soggiornare per qualche settimana in un centro di accoglienza, il tempo di riprendere le forze.
Ostacolo Dublino
Il regolamento Dublino II dell’Unione europea, in vigore dal 2003, prevede che le domande d’asilo debbano essere depositate nel primo paese dello spazio Schengen incontrato. Questo sistema penalizza dunque gli Stati del sud dell’Europa, che si trovano in “prima linea”, come l’Italia e la Grecia. I paesi candidati all’integrazione hanno, da parte loro, uno statuto derogatorio, poiché è possibile depositare una prima richiesta d’asilo in questi paesi e poi un’altra in uno Stato Schengen.
I Balcani esercitano dunque la funzione di “anticamera”, assorbendo e trattenendo una parte dei flussi, anche se le capacità di accoglienza degli Stati della regione restano molto limitate. (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt)
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