Si moltiplicano gli appelli per la scarcerazione dell’iraniana Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani, avvocata, arrestata nei giorni scorsi a Teheran. Sul suo capo pendono varie accuse: dalla “propaganda contro lo stato” alla “riunione e collusione contro la sicurezza nazionale” fino alla “costituzione di un gruppo illegale e contro la sicurezza”. Le sue colpe? Quelle di organizzare veglie davanti alle carceri per sostenere i familiari dei condannati a morte e di rilasciare interviste alla stampa internazionale in cui denuncia senza paura le forti limitazioni alle libertà che il regime iraniano mette in atto. L’arresto sarebbe legato alla pena di 6 anni inflitta da un tribunale nel 2011 per le sue azioni “contro la morale e le leggi dello stato”, pena scontata solo in parte e poi sospesa per le precarie condizioni di salute della donna e perché una mobilitazione internazionale aveva consentito il pagamento di una salata cauzione.
Mohammadi è presidente esecutivo del Centro dei Difensori dei Diritti Umani, creato nel 2003 dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi; il centro viene considerato la principale entità per la tutela delle libertà civili esistente nella Repubblica Islamica, avendo preso le parti negli anni di oppositori e prigionieri politici e di dirigenti di movimenti studenteschi, e per essersi battuto contro le continue esecuzioni capitali di condannati per reati anche di lieve entità. Per quel che riguarda questo ultimo aspetto Mohammadi è a sua volta fondatrice della organizzazione “Step by step to stop death penalty”. Già arrestata più volte negli anni scorsi, dal 2009 le è vietato lasciare il paese, condizione opposta a quella della Ebadi che non può rientrarvi perché verrebbe immediatamente ammanettata. Mohammadi stava per recarsi in Italia per ritirare un premio legato proprio alle sue attività in difesa dei diritti umani, ma le è stato impedito, e da allora cerca di far giungere la propria voce e quella di altri attivisti come lei fuori dai confini nazionali. Lo scorso anno ha potuto parlare presso l’ambasciata austriaca a Teheran con l’allora Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Catherine Ashton, denunciando nell’occasione le condizioni in cui sono costretti a sopravvivere gli oppositori dell’autorità costituita. Un incontro che aveva scatenato le ire del governo, che probabilmente ha scelto questo nuovo giro di vite per punire l’eco che la notizia ha avuto anche in patria, e per colpire tutti i dissidenti che dall’estero chiedono a gran voce che la comunità internazionale si faccia carico della questione. Fra loro anche Taghi Rahmani, docente universitario, esiliato in Francia, e quindi lontano da sua moglie, oramai da 6 anni.
Claudio Geymonat
Foto: Un cartellone di Amnesty International, a Vienna, che chiede la liberazione di Narges Mohammadi
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