Sei imputati sono stati condannati in Cina, e altri 16 sospettati esposti al pubblico ludibrio, in un palazzetto dello sport davanti a una folla di 5.000 persone. È stato un tribunale della contea di Huarong, nella provincia centro-meridionale dell’Hunan, a riproporre un processo in piazza come quelli che usavano durante la Rivoluzione Culturale, lanciata da Mao Zedong tra il 1966 e il 1976 al grido di «ribellarsi è giusto» per spazzare via i Quattro vecchiumi: «Vecchie idee, vecchia cultura, vecchie abitudini e vecchi comportamenti».
«PUNIRE CON FERMEZZA». Come si vede da queste foto pubblicate dai residenti su Weibo, gli otto criminali e i 16 presunti criminali sono stati portati in giro per la città su un camion scoperto che portava la scritta: “Punire con fermezza le rapine e i furti”. Tutte e 24 le persone trasportate sul camion hanno dovuto subire l’umiliazione di portare al collo un cartello con la dicitura del crimine di cui erano accusati.
PRATICA VIETATA. I quotidiani cinesi, come il Global Times, hanno condannato quanto avvenuto a Huarong perché i fatti hanno riportato alla memoria dei cinesi i momenti più bui della Rivoluzione Culturale, quando morirono centinaia di migliaia di persone. Inoltre, il processo in piazza è illegale, nonostante sia stato celebrato dai capi di polizia, procura e tribunale. Una circolare emessa nel 1989 dalla Corte suprema del popolo ha infatti proibito l’apparizione pubblica dei condannati a morte. Nel 1992, come riporta AsiaNews, la direttiva è stata allargata a tutti.
«AMORE DEL POPOLO». Nonostante questo, i processi pubblici continuano ad avere luogo. Come a Guandi, dove il segretario locale del partito comunista disse: «È un buon modo per ottenere l’amore del popolo, farlo felice e renderlo soddisfatto». È anche un modo per «tenere buona la popolazione, che può urlare contro i criminali e sentirsi protetta dalla giustizia». A maggio, invece, il governo locale ha giustiziato 55 persone in pubblico davanti a settemila spettatori in uno stadio nella prefettura di Yili (Xinjiang).
«È UNA TRADIZIONE». Un ufficiale locale di Huarong ha dichiarato al Global Times: il processo in piazza «è una tradizione. Quand’ero giovane c’erano processi aperti come questo ma partecipavano più di 10 mila persone». Il giornale vicino al partito comunista ha anche affermato che una cosa del genere «è contro lo spirito del presidente Xi Jinping». Ma non è così.
CINA MODERNA. La Cina non ha mai abbandonato la pratica dell’umiliazione pubblica, a cui è stato costretto ad esempio il famoso blogger cinese Charles Xue, arrestato formalmente per aver pagato una prostituta, di fatto punito da Pechino per i suoi continui messaggi contro il governo su internet. Xi, nonostante sia stato vittima lui stesso della Rivoluzione Culturale, ha anche obbligato i quadri locali del partito a tornare alle «sessioni di critica e autocritica».
LA LEGGE È IL PARTITO. Proprio in questi giorni i massimi dirigenti del partito si sono poi riuniti per il Quarto plenum del Comitato centrale, l’organo direttivo di 205 membri del partito che decide le sorti del paese. Al centro della riunione, per la prima volta, la riforma della giustizia e la promozione dello stato di diritto. La conclusione del Quarto plenum è stata questa: «La leadership del Partito e lo stato di diritto socialista sono una cosa sola». Qualcuno si stupisce ancora dei processi in piazza?
Leone Grotti
Fonte: http://www.tempi.it/
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