Ogni anno nei paesi più poveri del mondo 3,6 milioni di persone muoiono a causa della corruzione che sottrae fondi pubblici e risorse nazionali vitali per un ammontare annuo di almeno un trilione di dollari, forse addirittura due. È quanto denuncia un rapporto pubblicato all’inizio di settembre dall’organizzazione non governativa One in vista dell’incontro dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei 20 paesi più sviluppati, che si terrà a Cairns, Australia, il 20 e 21 settembre, e del successivo vertice del G20 di Brisbane, in agenda, sempre in Australia, il 15 e 16 novembre.
In quei paesi, spesso enormemente ricchi di materie prime, la corruzione – spiega One – si pratica oltre che tramite evasione fiscale, riciclo di denaro, società di comodo… anche e soprattutto con lucrosi accordi sottobanco per la vendita delle risorse naturali. Il denaro stornato, divenuto patrimonio privato, lascia i paesi in via di sviluppo diretto in gran parte alla volta dei paradisi fiscali, investito in immobili milionari e in imprese finanziarie, speso nella realizzazione di sfrenati desideri di lusso e ostentazione e nel finanziamento dei sistemi clientelari e repressivi con cui si reggono i regimi privi di reale consenso popolare.
Per avere un’idea delle dimensioni astronomiche della rapina in atto, si consideri che un trilione di dollari, mille miliardi, è più di quanto guadagnano tutte insieme le 86 più grandi imprese pubbliche mondiali, equivale ai Pil di Finlandia, Danimarca e Austria sommati, basterebbe ad acquistare 8.928 F-35 e, cambiando articolo commerciale, a comprare per un mese un bicchiere di latte Starbuck per tutti gli abitanti del pianeta.
Ma soprattutto – questa è la denuncia di One, che ha intitolato il suo rapporto Trillion Dollar Scandal (Uno scandalo da un trilione di dollari) – se usato ogni anno in maniera appropriata, un trilione di dollari garantirebbe l’eliminazione della povertà estrema entro i prossimi 15 anni.
In Nigeria, primo produttore africano di petrolio, dall’indipendenza ottenuta nel 1960 sono spariti proventi derivanti dalla vendita del greggio per un valore di 400 miliardi di dollari. Nel 2013, è stato calcolato, il denaro rubato dai “ladri di petrolio” sarebbe bastato a vaccinare tutti i 29,7 milioni di bambini nigeriani di età inferiore a cinque anni, salvando così oltre un milione di vite; a fornire a tutti i 168 milioni di cittadini nigeriani una zanzariera da letto per proteggersi dalla malaria; a curare tutti i 3,2 milioni di nigeriani HIV positivi con farmaci antiretrovirali; ad assumere più di 494.000 nuovi insegnanti di scuola elementare incrementando così dell’86% il numero degli insegnanti del paese.
Enormi sono anche le perdite dovute all’evasione fiscale e al “trade mispricing”. Dal 2002 al 2011 Kenya, Ghana, Mozambico, Tanzania e Uganda hanno perso in totale 15 miliardi di entrate in tasse evase. Il bilancio del Malawi aumenterebbe del 50% se riuscisse ad azzerasse l’evasione fiscale che equivale a circa l’ammontare degli aiuti internazionali che percepisce, pari all’11,7% del Pil.
E ancora: i flussi illeciti di capitali all’estero stornati e trasferiti tramite società di comodo nel 2011 hanno fatto perdere ai paesi africani 76,9 miliardi di dollari.
“Ogni dollaro che un funzionario, un politico o un uomo d’affari corrotto si mettono in tasca – ha detto il direttore della Banca Mondiale, Jim Yong Kim – è un dollaro rubato a una donna incinta che ha bisogno di cure o a un ragazzo che ha diritto a un’istruzione o alle comunità che hanno bisogno di acqua, strade e scuole”.
Se poi fossero investiti anche in programmi di sviluppo, i capitali sottratti ai paesi poveri ne incrementerebbero il Pil tanto da affrancarli dalla dipendenza dagli aiuti internazionali. Se sfruttasse le proprie riserve di petrolio, l’Uganda, ad esempio, guadagnerebbe 2 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 20-30 anni, mentre adesso il suo bilancio nazionale è di 3 miliardi di dollari, 1,7 dei quali forniti dalla cooperazione internazionale.
Dovunque le si permetta di prosperare – si legge nel rapporto di One – sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, la corruzione ostacola gli investimenti privati, riduce la crescita economica, aumenta i costi delle attività produttive e genera instabilità politica. Ma nei paesi poveri diventa un killer. Ne fanno le spese soprattutto i bambini.
One intende quindi lanciare una campagna internazionale affinché al prossimo G20 le potenze mondiali si impegnino a usare i mezzi di cui dispongono per combattere la corruzione nei paesi poveri, innanzi tutto con leggi che fermino la rapina sconsiderata di petrolio, gas e minerali: immense risorse potenziali per lo sviluppo di decine di paesi. Basti pensare che nel 2012 le esportazioni di petrolio e minerali dall’Africa hanno raggiunto i 438 miliardi di dollari: quasi otto volte il valore delle esportazioni agricole (pari a 57 miliardi di dollari) e più di nove volte quello degli aiuti internazionali (pari a 45,3 miliardi).
La sfida è convincere e costringere i governi africani a contrastare la corruzione, invece di praticarla. Perchè poi limitarsi ai paesi in via di sviluppo. Sembrerebbe opportuno, anzi in certi casi urgente, estendere l’obiettivo a quelli ricchi, prima che la corruzione ne comprometta il futuro.
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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