Se lo stupratore è islamico, la polizia lascia fare

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img-_innerArt-_rotherham_muslimsBande organizzate di bruti hanno rapito, violentato e talvolta anche rivenduto 1400 minorenni. Succede a Rotherham, nell’Inghilterra settentrionale. Un rapporto pubblicato ieri, a firma della professoressa Alexis Jay, a conclusione di un’indagine indipendente commissionata dal comune, parla chiaro e non cela i dettagli.

Descrive storie di minorenni, soprattutto ragazzine fra gli 11 e i 16 anni di età, cosparse di benzina e minacciate di essere date alle fiamme, minacciate con pistole e fatte assistere a stupri brutali, minacciate di essere le prossime se ne avessero parlato con qualcuno. Bambini venduti in altre città e usati come oggetti sessuali. Altre ragazzine violentate in modo seriale, tanto da dichiarare, una volta fuori dall’incubo, che ormai “lo stupro di gruppo era diventato un modo di vivere”. Tutto questo è avvenuto per 16 anni, dal 1997 al 2014, senza che nessuno intervenisse. Eppure le autorità inglesi locali ne erano perfettamente al corrente. Prima dell’attuale rapporto Jay, erano stati redatti altri tre rapporti. Tutti cestinati. Nel primo caso, le autorità non avevano creduto ai dati. Gli altri due rapporti erano stati semplicemente accantonati. A loro avviso i dati erano “esagerati”. In effetti, 1400 vittime minorenni di abusi in una cittadina con nemmeno 120mila abitanti è una cifra immensa, assurda nella sua sproporzione. E, fra l’altro, si tratta ancora di una stima conservativa, perché in questi 16 anni le vittime potrebbero risultare molte di più.

Eppure c’è un’altra causa del silenzio che sta emergendo con clamore. I bruti in questione, infatti, non sono i padri delle vittime, non si parla di stupratori inglesi, ma sono: membri di gang di pachistani, alle quali si sono aggiunti anche iracheni e qualche kosovaro. Immigrati che la stampa britannica definisce genericamente “asiatici”. O non li definisce affatto. Nelle prime ventiquattro ore di notizie, infatti, la Bbc ha completamente cancellato l’origine dei membri della gang degli orrori. Quando entra in ballo la comunità musulmana, una cappa di terrore induce tutti, dalla polizia alla stampa, passando per gli assistenti sociali, a stare zitti. La polizia non si è mossa, o lo ha fatto in modo controproducente. In almeno due casi, i padri di ragazzine stuprate hanno cercato di salvare le loro figlie dai carnefici, ma sono stati arrestati a loro volta: i carnefici si son fatti passare per vittime e la loro origine, evidentemente, li ha resi più credibili agli occhi degli agenti. Ci sono casi di intimidazione palese: ragazzini che non hanno denunciato i loro violentatori, perché questi minacciavano rappresaglie sui loro fratellini o sorelline minori. E ci sono tante denunce di professori e membri del personale scolastico degli istituti locali che sono state bellamente ignorate. Fuori dalle scuole, le vittime venivano prelevate con le buone o con le cattive, e la polizia stava a guardare.

Nel 2010 cinque pachistani erano finiti dietro le sbarre, per violenze seriali contro ragazze e ragazzine locali. Ma l’indagine non era andata oltre, benché il quotidiano The Times, nel 2012, fosse giunto alla conclusione che il giro delle violenze e dei violentatori era molto più ampio e noto alla polizia da almeno un decennio. Il caso che aveva fatto puntare i riflettori su Rotherham riguardava una ragazza di 17 anni, Laura Wilson: venne assassinata per aver “offeso” le famiglie di due pachistani che abusavano di lei. Lei era vittima di abusi fin dall’età di 11 anni e gli assistenti sociali ne erano al corrente. Nell’agosto del 2013, quattro donne avevano avviato un’azione legale contro il consiglio di Rotherham per i suoi “sistematici fallimenti” nel proteggerle dagli abusi sessuali di un gruppo di uomini, subiti fin da quando erano bambine. Una ragazza, conosciuta come “Jessica”, ha dichiarato di essere stata quotidianamente violentata, quando aveva 14 anni, da un ragazzo di dieci anni più grande di lei e i servizi sociali non hanno voluto classificarla come vittima di abusi. I documenti rivelano che in almeno un caso la polizia l’abbia trovata in “atteggiamenti intimi” con il suo persecutore e abbia arrestato lei (già affidata ai servizi sociali) lasciando andare lui.

L’autocensura dettata dall’antirazzismo è stata, questa volta, direttamente complice dei criminali. Infatti, nel rapporto di Alexis Jay emerge chiaramente: le autorità locali avevano paura di essere accusate di “razzismo”. «Sembra che alcuni (funzionari ndr) pensassero che si trattasse di casi eccezionali, che secondo loro non si sarebbero ripetuti. Altri erano preoccupati di riferire le origini etniche dei responsabili per paura di essere considerati razzisti; altri ancora ricordano invece di aver ricevuto chiare istruzioni di non farlo da parte dei propri dirigenti». Quindi le autorità non si sono mosse. Eppure il fenomeno era chiaro già il decennio scorso. Nel rapporto del 2003, la dottoressa Angie Heal, la relatrice di allora, aveva scritto: «A Rotherham, la comunità asiatica locale, raramente denuncia (i colpevoli, ndr)». Secondo la professoressa Jay, già nel rapporto Heal si descriveva come stessero aumentando gli incentivi per chi partecipava al traffico dei minorenni. «In passato lo facevano solo per gratificazione personale, ora agli immigrati asiatici che vengono coinvolti vengono offerte anche opportunità economiche e di carriera». Già nel rapporto del 2006, si arrivava alla conclusione: «Un certo numero di funzionari pensano che una delle maggiori difficoltà a prevenire efficacemente questo crimine sia dovuta all’origine etnica dei suoi perpetratori». La Bbc, una volta svegliatasi dal coma etnico e ammessa l’origine dei criminali, ha anche approfondito il tema, con diligenza. Svelando come questo tabù antirazzista abbia impedito di identificare le vittime, oltre che i carnefici. Quelle 1400 vittime, infatti, non sarebbero tutte: la maggioranza sono inglesi non musulmane. Ma ci sono tanti altri bambini e bambine musulmani immigrati che tuttora non hanno ottenuto giustizia. Zlakha Ahmed, leader dell’organizzazione Apna Haq, per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini di origine “asiatica”, ritiene che: «il rapporto non mi ha sorpreso affatto, per quanto conosciamo questo problema da un certo numero di anni». Lei stessa avrebbe redatto, con la sua organizzazione, numerosi studi analoghi «con l’unica differenza che le vittime sono giovani donne musulmane asiatiche e i carnefici sono uomini pachistani musulmani».

Tutto questo tatto nei confronti di stupratori pedofili ha offeso anche i rappresentanti musulmani locali. «Nel nome di quale coesione comunitaria e di quale correttezza politica si è fatto tutto questo? Non in nome della mia comunità!» – reagisce Muhbin Hussein, fondatore della Gioventù Musulmana Britannica. «Io sono veramente disgustato nel vedere un rapporto simile che riguarda la mia città, Rotherham. Il fatto che questi uomini fossero soprattutto pachistani di origine, non dovrebbe fornire loro un manto di invisibilità». Eppure non è la prima volta che l’origine etnica e soprattutto l’appartenenza religiosa all’islam forniscono un salvacondotto facile per ogni aggressore. Sempre in Inghilterra, è recentissimo lo scandalo delle scuole islamizzate a Birmingham. Anche in quel caso le autorità locali erano al corrente dell’esistenza di un piano di progressiva occupazione e islamizzazione di scuole pubbliche, ma la paura di essere accusati di razzismo e islamofobia ha impedito loro di intervenire in tempo. Non è l’islam che deve meravigliare, ma l’incredibile cecità auto-indotta delle autorità.

Non si tratta solo di un problema britannico, ma riguarda tutta l’Europa. Il nord Europa in particolare. In Svezia e in Norvegia sono aumentati esponenzialmente gli stupri ai danni delle ragazze locali e le statistiche della polizia non indicano più l’origine etnica degli aggressori. Eppure i due paesi, in cui la violenza sessuale era a livelli minimi fino a due decenni fa, ora sono in cima alle classifiche europee sugli stupri, guarda caso solo da quando è iniziata la grande ondata migratoria dai paesi musulmani. Le ultime statistiche parlavano di una stragrande maggioranza di casi in cui l’aggressore era di origine “non occidentale”, un modo politicamente corretto per indicare l’immigrato islamico. In Germania, lo scorso aprile, l’omicida afgano della sua ex fidanzata (accusata di non voler abortire) ha goduto di attenuanti culturali. Non è il primo caso e non sarà l’ultimo. Quella delle attenuanti culturali sta diventando una vera abitudine della magistratura tedesca. Ce ne siamo accorti anche noi quando, nel 2007, un sardo, nella Bassa Sassonia, godette dello stesso privilegio dopo aver violentato la sua ex fidanzata. L’allora sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, parlò esplicitamente di “esempio di razzismo contemporaneo”. E in effetti il multiculturalismo (di cui Manconi, in altre occasioni, si è fatto portavoce), cosa è se non razzismo contemporaneo? La sua prima regola è che non vi sono “nostre” regole applicabili alle “loro” comunità. Si creano isole di anarchia in cui la sharia viene imposta dai leader religiosi locali. In Inghilterra questo processo inizia ad essere addirittura formalizzato, con l’introduzione di corti islamiche e l’applicazione della legge coranica nei tribunali.

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/


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