Iraq in bancarotta cristiani abbandonati

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iraq-qaraqosh-cristiani-isil-ankawaSi sono aggiornati al 12 agosto. Sì, ieri il presidente del parlamento iracheno ha deciso che per la seduta nella quale oggi i deputati eletti il 30 aprile avrebbero dovuto cercare di dare un governo al Paese, si può aspettare ancora un altro mese. Come se al Nord una parte di ciò che era l’Iraq non fosse diventato diventato il luogo da cui l’autonominatosi califfo Ibrahim (in proprio o tramite controfigura, non è ancora del tutto chiaro), lancia dalla moschea di Mosul proclami a tutto il mondo musulmano. Come se non ci fossero centinaia di migliaia di profughi fuggiti nelle ultime settimane dalle proprie case. Come se l’unico brandello di sicurezza da quelle parti oggi non fosse garantito dai peshmerga curdi, che – come è noto – «lavorano in proprio».

Nel rinvio della seduta di un parlamento che – con Nuri al Maliki di mezzo – non riesce a trovare un accordo per formare un governo, c’è tutta la bancarotta conclamata dell’Iraq di oggi. Che non è solo ovviamente delle fazioni irachene; è lo stallo anche di Washington, di Teheran e di Riyad, incapaci di trovare un minimo comun denominatore nemmeno di fronte a questo strano Califfato spuntato dal nulla in uno dei crocevia più pericolosi del mondo.

«Facciamo appello perché si acceleri la formazione di un governo di unità nazionale che veda riunite tutte le componenti e verifichi al più presto la stabilità, la sicurezza e l’affidabilità dei servizi di base», era stato l’appello del patriarca caldeo Raphael Sako appena dieci giorni fa, al termine del drammatico Sinodo celebrato dai vescovi caldei ad Ankawa, nei pressi di Erbil, con i profughi cristiani che intorno arrivavano a migliaia. Un appello ancora una volta caduto nel vuoto. Ieri – in un’intervista alla Radio Vaticana – sembrava essersi ormai rassegnato anche lui: «Personalmente penso che il Paese vada pian piano verso la divisione settaria – ha dichiarato Sako -. Ma se c’è un piano per la divisione, perché allora fare la guerra, uccidere la gente, distruggere tutto e poi dire “non c’è altra soluzione che la separazione”? Questo penso sia un peccato molto grave».

L’intervista del patriarca ieri è servita soprattutto per smentire la notizia circolata in mattinata secondo cui due preti e una suora sarebbero stati rapiti a Mosul. Non era vera e probabilmente è stata fatta circolare da chi ha tutto l’interesse a far crescere il panico tra i cristiani iracheni. Però resta il fatto che mancano all’appello suor Atur e suor Miskinta, due religiose caldee della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata, insieme a due ragazze e un ragazzo di 12 anni della loro casa famiglia di Mosul. L’ultima volta che li hanno visti – il 28 giugno – stavano rientrando nella seconda città irachena che avevano lasciato in fretta e furia insieme a tutti i cristiani all’arrivo delle milizie dell’Isis. Volevano semplicemente vedere in che condizioni era casa loro, magari prendere qualcosa che poteva essere utile. Nessuno sa più che fine abbiano fatto. E delle principali chiese di Mosul si sa solo che lo Stato islamico ha sostituito le croci esterne con le proprie bandiere.

Rispetto a qualche giorno fa la situazione è migliorata un po’ a Qaraqosh, la città della Piana di Ninive, abbandonata dai cristiani una decina di giorni fa sotto i colpi di mortaio dello Stato islamico. I miliziani jihadisti sono arretrati di qualche chilometro, le truppe curde presidiano la città; per questo molti degli sfollati sono tornati nelle proprie case. Ma l’emergenza umanitaria resta lo stesso pesante: il problema numero uno è l’acqua che scarseggia; l’altro giorno l’Unicef è riuscita a portare un rifornimento, ma appare sempre più evidente che nella Piana di Ninive la guerra si gioca anche sul controllo delle risorse idriche.

Dentro a questa grande tragedia, i cristiani iracheni provano comunque a guardare avanti. In questi giorni a Baghdad il patriarca Sako ha ordinato due nuovi sacerdoti, padre Fawaz Fadhil e padre Salwan Mikhail. Mentre domenica – nella chiesa caldea della Vergine Maria – dieci bambini hanno celebrato la loro Prima comunione. Volti di una Chiesa che – nel tempo di una prova durissima – si affida all’unica speranza che non delude. A differenza di un mondo che non sembra avere alcuna intenzione di curarsi di loro.

di Giorgio Bernardelli

Fonte: http://www.lanuovabq.it/


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