“Oggi ci sono più testimoni, più martiri nella Chiesa che nei primi secoli, tanti più cristiani perseguitati” ha ricordato Papa Francesco durante la messa celebrata a Casa Santa Marta il 30 giugno, nel giorno in cui si commemorano i santi protomartiri della Chiesa romana, uccisi sul Colle Vaticano per ordine dell’imperatore Nerone dopo l’incendio di Roma del 64 d.C.
Il pensiero va prima di tutto al Medio Oriente, ai cristiani crocifissi in Siria, a quelli in fuga in Iraq, mentre i jihadisti avanzano nella piana di Ninive. L’80% dei cristiani di Mosul è fuggito e adesso tocca a quelli della città cristiana di Qaraqosh, contesa dai peshmerga curdi e dagli islamisti dell’Isis, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante che il 29 giugno ha proclamato la ricostituzione del Califfato nei territori conquistati.
Con l’inizio, tra il 28 e il 29 giugno, del Ramadan, per gli islamici il sacro mese del digiuno, della preghiera e della carità, il livello d’allerta è aumentato in molti stati: in Africa, in quelli del Sahel e della sottostante fascia subsahariana, dall’oceano Atlantico all’oceano Indiano, in cui ormai i jihadisti seminano morte quasi del tutto indisturbati; in Asia, in tutti gli stati a maggioranza islamica.
Gli al Shabaab, i jihadisti somali che costituiscono una minaccia crescente per i cristiani di Kenya, Tanzania e Uganda, avevano annunciato l’intenzione di intensificare gli attentati durante il Ramadan. Hanno incominciato con un ordigno esplosivo nascosto nel mercato di Kaaran, nei quartieri settentrionali della capitale Mogadiscio, che ha ucciso due persone e ne ha ferite sette. Polizia e servizi di sicurezza sono stati invitati dal primo ministro Abdiweli Sheikh Ahmed a moltiplicare la vigilanza e la Amisom, la missione di peacekeeping dell’Unione Africana, ha potenziato la propria presenza nei luoghi più a rischio. Ma nulla possono forze dell’ordine e caschi verdi per proteggere i cristiani che ancora vivono nei territori centrali e meridionali del paese tuttora controllati da al Shabaab: autentici martiri della fede, uccisi a decine ogni anno, nei modi più brutali, quasi sempre all’insaputa del resto del mondo.
In Indonesia, la nazione musulmana più popolosa del mondo, il Ramadan è stato inaugurato con un assalto alla chiesa della parrocchia del Sacro Cuore a Pugeran, nella provincia di Yogyakarta, sull’isola di Giava. Il 29 mattina, durante la prima messa domenicale, diversi uomini vestiti di nero e con il volto coperto sono penetrati nel perimetro della chiesa e, gridando “Allah è grande”, hanno distrutto quel che capitava a tiro, fortunatamente senza infierire sui fedeli. Desta preoccupazione il fatto che episodi del genere si verifichino sempre più di frequente, mentre Yogyakarta per decenni è stata la provincia in cui maggiormente si tolleravano le minoranze religiose. Un mese fa, il 29 maggio, un gruppo di fondamentalisti islamici ha aggredito con sassi e spranghe di ferro i fedeli della parrocchia della Sacra Famiglia di Bateng che stavano recitando il rosario e provando dei canti domenicali in una casa privata. Il 2 giugno è toccato ai cristiani protestanti di Sleman. Un gruppo di fondamentalisti ha assalito e danneggiato servendosi di pietre e altri oggetti contundenti la loro casa di preghiera e l’abitazione del loro pastore situata accanto.
Le notizie più drammatiche però, oltre che dal Medio Oriente, arrivano dalla Nigeria. Il 29 giugno Boko Haram, il gruppo jihadista che vuole imporre la legge coranica nel paese, ha attaccato cinque chiese a Kwada, un villaggio a circa dieci chilometri da Chibok, la città in cui ad aprile sono state rapite quasi 300 studentesse. Per attaccare, i terroristi hanno aspettato il momento in cui i fedeli stavano per iniziare la celebrazione della messa della domenica ed è stata una strage. Non contenti, hanno poi braccato e ucciso altre persone inseguite per strada e, come di consueto, hanno distrutto diverse abitazioni. Quindi si sono spostati in un villaggio vicino, Kautikari, dove hanno continuato a uccidere e a distruggere case e proprietà. Il quotidiano nigeriano Daily Post riporta un bilancio di 100 morti.
Unità di volontari chiamate “Civil Task force” presidiano le chiese negli stati nigeriani del nord, a maggioranza islamica, cercando di intercettare i terroristi prima che raggiungano i dintorni degli edifici religiosi. Tentano così di rimediare alla negligenza, quando non alla complicità con i jihadisti dei militari e degli agenti di polizia. Ma non sempre basta. Dal 29 giugno la diocesi di Enugu, capitale dell’omonimo stato, ha proibito alle donne di recarsi in chiesa portando borse. Inoltre tutti i fedeli vengono controllati e se necessario perquisiti prima di entrare in chiesa.
di Anna Bono
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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