L’idea che avrebbe potuto perdonare l’assassino di suo figlio è arrivata a Samereh Alinejad in sogno. Era un messaggio che non ha voluto sentire. Abdollah Hosseinzadeh è stato assassinato in Iran durante una rissa di strada nell’autunno del 2007 quando aveva soltanto 18 anni. Conosceva il suo assassino, Balal. I due, che allora erano da pochissimo usciti dall’adolescenza, avevano giocato a pallone insieme. Abdollah era il secondo figlio che Alinejad aveva perduto: il figlio minore è morto in un incidente con un motorino quando aveva 11 anni. Furiosa per il dolore, era decisa a fare impiccare Balal.
Ma mentre la data dell’esecuzione di Balal si avvicinava, Abdollah è apparso a sua madre in una serie di sogni molto chiari. “Dieci giorni prima che l’esecuzione è stata fissata, ho visto mio figlio in sogno che mi chiedeva di non vendicarmi, ma non riuscivo a convincermi a perdonare,” ha detto al Guardian. “Due notti prima di quel giorno l’ho visto ancora una volta in sogno, ma questa volta si è rifiutato di parlarmi.”. In una telefonata dalla provincia di Mazandaran nell’Iran settentrionale, sul Mar Caspio, Alinejad ha detto che non aveva alcuna intenzione di risparmiare la vita di Balal fino al momento in cui ha chiesto che il cappio gli venisse tolto dal collo. Il suo perdono all’ultimo minuto è stato un notevole atto di umanità che ha commosso i cuori in tutto l’Iran e nel mondo, ma che ha colto di sorpresa tanto Alinejad che Balal, i suoi parenti e la stessa famiglia della donna.
Una fiumana di parenti di Alinejad, suo fratello e sua madre sono andati a casa sua la notte prima dell’esecuzione. Dolorosamente consapevoli del dolore che si è portata dentro nei sette anni dall’uccisione di suo figlio, nessuno di loro ha tentato di farle cambiare idea. “Rimanevo fermissima nella mia convinzione che volevo che fosse punito, quindi non si aspettavano che io lo perdonassi.” In quanto tutore legale di Abdollah, il marito di Alinejad, Abdoghani, aveva il potere in base alla legge iraniana di revocare la pena di morte, ma aveva ceduto quella responsabilità a sua moglie.
“Non siamo riusciti a dormire quella notte, siamo stati svegli fino alla mattina. Avevo detto a mio marito soltanto due giorni prima che non posso perdonare questo uomo, ma forse ci sarebbe una possibilità, ma non riuscivo a convincermi di perdonarlo.” Alinejad era stata assicurata: “Mio marito mi ha detto, rivolgiti a Dio e vediamo che cosa succede”. Nelle prime ore di martedì 6 maggio, Alinejad era fuori dei cancelli della prigione Nour, in mezzo alla folla radunata lì per l’esecuzione di Balal. “L’ultima parola spetta a te, mi aveva detto mio marito,” ricordava. “Mi ha detto che avevo sofferto troppo e che avremmo fatto come dicevo io.”
Dopo che è stata data lettura della formula presa dal Corano, le guardie della prigione hanno infilato il cappio attorno al collo di Balal mentre era in piedi su una sedia, con gli occhi bendati e con le mani legate dietro la schiena. Il codice penale islamico dell’Iran permette all’erede della vittima – “walli-ye-dam” di giustiziare personalmente la persona condannata, come Qisas (risarcimento) – in questo caso spingendo via la sedia sulla quale era in piedi. Pochi secondi prima di quello che avrebbe potuto essere il suo ultimo respiro, Balal ha implorato di salvargli la vita e ha chiesto misericordia. “Per favore, perdonatemi,” ha urlato, “almeno per mia mamma e mio papà,” ricordava Alinejad. “Ero arrabbiata, ho risposto gridando: come posso perdonarti, hai mostrato pietà per la mamma e il papà di mio figlio?” Anche altre persone tra la folla che osservavano la scena angosciati, hanno implorato la famiglia di risparmiare la vita di Balal. “Amoo Ghani (zio Ghani), perdonalo,” urlavano, chiamando per nome il padre della vittima.
Il destino di Balal ha poi avuto una svolta inaspettata. Alinejad è salita su uno sgabello, e invece che spingere via la sedia di Balal, gli ha dato uno schiaffo sulla faccia. “Dopo questo atto, ho avuto la sensazione che la rabbia fosse svanita dento il mio cuore, che il sangue nelle mie vene ricominciasse a fluire,” ha detto. “Sono scoppiata in lacrime e ho chiamato mio marito e gli ho chiesto di salire e di rimuovere il cappio.” Dopo pochissimi secondi, mentre Abdolghani sfilava la corda dal collo di Balal, hanno dichiarato che aveva avuto il perdono.
La madre di Balal, Kobra, ha raggiunto singhiozzando il recinto che separava la folla dal luogo dell’esecuzione, ha abbracciato Alinejad prima di arrivare a baciarle i piedi – un gesto di rispetto e gratitudine. “Non le ho permesso di farlo, le ho preso il braccio e lo fatta alzare in piedi…. era proprio una madre come me, dopo tutto.”
Arash Khamoushi, un fotografo che lavora per l’agenzia di stampa iraniana Isna, ha catturato la scena straordinaria in una serie di fotografie che hanno inondato i siti internet, i giornali e i set televisivi in tutto il mondo. Tra le immagini più toccanti c’è quella delle madri che per la prima volta sono una davanti all’altra abbracciandosi. “Era estremamente contenta, come se qualcuno le avesse dato delle ali per volare,” ha detto Alinejad. Un po’ di ore dopo, dopo aver risparmiato il figlio di una donna, è andata a visitare la tomba di suo figlio.
Abdollah è stato educato in una famiglia religiosa. Alinejad è una casalinga, Abdolghami è un manovale in pensione che fa l’allenatore di calcio in una squadra locale dove giocavano Abdollah e Balal. Avendo perduto entrami i figli maschi, la coppia ora ha soltanto una figlia. Balal resta in carcere. La famiglia di una vittima può soltanto risparmiare la vita dell’omicida, non possono fare revocare una condanna al carcere che in Iran è a discrezione della magistratura, paese che ha il peggior record di esecuzioni di tutto il mondo, dopo la Cina.
Alinejad ha parlato con la famiglia di Balal soltanto quado si sono incontrati nella prigione di Balal. “Non ho detto loro neanche una parola in tutti questi anni, né mi sono lamentata direttamente con loro del motivo per cui loro figlio aveva ucciso il mio,” ha detto. “La famiglia di Balal è però in contatto con i nostri parenti.” “Balal era ingenuo. Non voleva uccidere, non era nella sua natura, si era arrabbiato improvvisamente, e aveva un coltello in mano”. Trovandosi a essere una figura di ispirazione per le persone di tutto il mondo, Alinejad ha una lezione che spera che la sua tragedia aiuti gli altri a imparare: “I giovani non devono avere un coltello quando vanno fuori. Quando ammazzano una persona, non ammazzano solo quella, ma come conseguenza muoiono anche le madri e i padri.” Ha detto che è contenta che così tante persone siano state felici della sua decisione, “Sono felice quando ora la gente mi chiamano la loro mamma.”
Una settimana dopo aver perdonato Balal, Alinejad ha trovato una pace perduta fino dalla morte di suo figlio. “Perdere un figlio è come perdere una parte del proprio corpo. Per tutti questi anni mi sono sentita come un corpo morto che si muoveva,” ha detto. “Ora, però mi sento molto calma, sento di essere in pace. Sento che la vendetta ha abbandonato il mio cuore.”
Saeed Kamali Dehghan da Serenoregis.org
Tratto da: http://www.unimondo.org/
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