Viaggio nella Nigeria scossa dalle violenze dei terroristi di Boko Haram, schiacciata fra conflitti etnici e religiosi, ma anche oppressa da una povertà che riguarda almeno il 70% della popolazione .
(Luisa Nitti) Più di 250 ragazze rapite. Di loro non si sa più nulla da oltre un mese. Sono state prelevate dalla loro scuola, nella provincia di Chibok, nel Nord Est della Nigeria. L’unica certezza è che il loro rapimento è stato rivendicato da Boko Haram, il gruppo di estremisti islamici che continua a seminare morte.
Sconcerto dopo i rapimenti
Si calcola che siano 1500, da gennaio ad oggi, le vittime di attacchi terroristici da parte di Boko Haram, mentre un altro gruppo di 11 ragazze è stato rapito la scorsa settimana. Markus Gamache che si occupa di un progetto interreligioso a Jos, nel nord del paese, in una delle aree più a rischio della Nigeria, dice: “Avevamo già avuto in passato il rapimento di due o tre ragazze, in particolare a Limankara nello stato del Borno, a Madagali e Adamawa. Ma questa volta, il rapimento di un numero così alto di giovani è stata davvero una terribile sorpresa”.
Governo debole
Markus Gamache sostiene che il rapimento delle ragazze abbia messo a nudo la debolezza del governo guidato dal presidente Goodluck Johnatan. “La società civile ritiene che l’accaduto vada oltre l’opposizione al governo, oltre l’attacco alle chiese, oltre il conflitto religioso: i terroristi agiscono in modo insensato. Da parte di tutta la società civile c’è stata una forte reazione contro l’accaduto. Nei piccoli centri questa situazione ha suscitato paura, nelle grandi città la gente si è mobilitata per protestare. Quello che ci ha scandalizzato – non solo i cristiani, non solo le persone vicine a queste ragazze, ma tutte le persone – è l’esitazione del governo: avrebbe dovuto muoversi più rapidamente, inviare subito forze di polizia, le 43 ragazze che sono saltate giù dai camion e si sono nascoste fra i campi sono state messe in salvo dalle comunità locali”.
Violenze religiose
Gli attacchi alle chiese cristiane negli ultimi anni si sono intensificati e non poche comunità vivono ogni giorno nella paura. Yakubu Joseph, nigeriano che lavora per l’Università di Tübingen, è impegnato da decenni in progetti per la pace e lo sviluppo in Nigeria. E sostiene che le chiese cristiane, nonostante i frequenti attacchi da parte degli estremisti islamici, vivono una stagione di crescita, almeno in alcune aree del paese.
“Recentemente ho chiesto notizie della Chiesa dei Fratelli, nella capitale Abuja”, dice Joseph. “Il numero dei membri di chiesa è in crescita. Qual è la causa di questo incremento? Molte persone che stanno fuggendo dalle zone di conflitto come Maiduguri e si spostano verso il sud, ad Abuja, vanno a infoltire i ranghi della chiesa”.
La gente fugge dai piccoli centri del Nord del Paese per spostarsi verso la capitale, dove le chiese riescono ancora ad avere un ruolo di aggregazione. Ma secondo Yakubu Joseph se le chiese sono ancora forti in Nigeria è anche grazie a un rinnovato senso di appartenenza alla comunità cristiana. “Gli attacchi contro le chiese”, dice l’attivista nigeriano, “rafforzano la fede delle persone. Credenti che non prendevano seriamente la religione, che erano cristiani solo in modo nominale e che non partecipavano alle attività della chiesa, adesso, a causa di quello che sta accadendo, decidono di impegnarsi e di partecipare. Malgrado la difficile situazione”, conclude, “direi che la chiesa in Nigeria rimane ancora forte”.
Cause dei conflitti
Ma fino a che punto quello della Nigeria è un conflitto fra religioni? Secondo Yakubu Joseph, la definizione di guerre di religione dev’essere usata con cautela. “Negli scontri in corso nella Nigeria settentrionale la religione è certamente coinvolta, ma non si può dire che la religione sia sempre causa dei conflitti. Ad esempio”, prosegue, “ci sono stati scontri fra pastori e contadini, a causa dell’utilizzo delle terre. La Nigeria è confrontata con il problema della desertificazione e quindi i pastori spostano il loro bestiame verso la parte centrale del paese, occupata prevalentemente da contadini. I pastori non hanno cibo a sufficienza per il loro bestiame e i contadini non vogliono che i pastori portino il bestiame nei loro terreni. L’aspetto religioso di questo conflitto è che i pastori sono quasi tutti musulmani, mentre i contadini sono cristiani. Si tratta quindi di uno scontro fra due comunità, quella nomade e quella dei contadini. E dato che ciascuno di loro appartiene a un gruppo religioso diverso, il conflitto tende a prendere una colorazione religiosa”.
Riconciliazione tra le comunità
Eppure proprio le religioni possono contribuire a pacificare il Paese. È quanto avviene a Jos, dove Markus Gamache è co-direttore di un programma interreligioso che coinvolge cristiani e musulmani. Il progetto è sostenuto da Missione 21, agenzia protestante di Basilea. In una zona dilaniata dai conflitti, cerca di ricucire le relazioni fra le due comunità di fede e offre alle persone coinvolte opportunità di formazione lavorativa.
“Il progetto coinvolge un certo numero di musulmani e cristiani”, dice Gamache, “ed è stato avviato dopo gli attacchi contro i cristiani a Jos, che hanno provocato la frattura tra le comunità. Noi abbiamo constatato che c’erano molti giovani disoccupati, molti che avevano abbandonato la scuola e molti ragazzi rimasti orfani durante le violenze. Li abbiamo coinvolti per dare loro una nuova opportunità. Abbiamo messo insieme un certo numero di giovani cristiani e musulmani per farli diventare amici e perché potessero acquisire delle competenze spendibili sul territorio, per metterli nelle condizioni di avviare delle attività lavorative in autonomia”.
Il dialogo fra cristiani e musulmani si accompagna quindi a corsi di formazione per mettere le persone nelle condizioni di reinventare il proprio futuro, mettendo su un’attività lavorativa che permetta una vita più dignitosa. Sono 200 le donne che al momento usufruiscono del progetto.
Criminalità e violenza
Quello attivato a Jos un laboratorio di riconciliazione che smaschera l’uso strumentale delle religioni e riporta le persone insieme, nella vita di tutti i giorni. Ma le prospettive globali della Nigeria, secondo Gamache, restano preoccupanti. “Grazie al nostro progetto ho visto una significativa crescita della capacità di dialogo fra le parti: il dialogo può portare pace, è molto importante incontrare le persone che sono direttamente coinvolte nel dialogo e nella comprensione dei motivi del conflitto. Nel Paese però permane molta violenza diffusa, ci sono furti, violenze, stupri. I gruppi che compiono questi crimini non lo fanno nel nome della religione, ma solo per procurarsi cibo, beni e denaro. La situazione è complessa e non si può dire esattamente ciò che sta accadendo. Questi gruppi difatti prendono di mira le comunità cristiane, ma anche quelle musulmane, non è sempre facile capire quale sia il loro obiettivo.
Obiettivi di Boko Haram
La Nigeria: un paese stretto nella morsa del terrorismo, che a fatica riesce a trovare segnali di speranza. Gli attacchi alle chiese cristiane, da parte di Boko Haram, non si fermano. Ma c’è anche violenza cieca e indiscriminata, che colpisce la gente, nei mercati.
Yakubu Joseph si occupa di progetti di pace e sviluppo nel Paese: “Boko Haram sta cercando di creare uno stato islamico nel nord del paese. Vogliono imporre la sharia nel nord della Nigeria. Negli ultimi anni hanno modificato la loro strategia iniziando a prendere di mira le chiese. I miliziani colpiscono le chiese, entrano nei luoghi di culto e uccidono i fedeli. La loro strategia del terrore colpisce comunità cristiane, in particolare in posti come lo stato del Borno. Ma Boko Haram attacca anche musulmani, attacca le scuole, ha attaccato il mercato di Maiduguri e non ha risparmiato anche musulmani. Però l’obiettivo principale sono i cristiani, che sono diventati i più vulnerabili nei confronti delle azioni terroristiche”.
Un paese in balia della violenza, quindi, dove i segnali di speranza sembrano decisamente pochi. Eppure oggi la Nigeria si presenta al mondo anche sotto un altro volto, inaspettato: quello dello sviluppo economico. Il suo prodotto interno lordo è in crescita, e la Nigeria si attesta al primo posto fra le economie africane, avendo appena superato il Sud Africa. Una notizia incoraggiante, ma anche paradossale, di fronte alla povertà estrema in cui vive la maggior parte della popolazione.
Ricchezza mal distribuita
“Una parola che descrive bene la Nigeria è il contrasto”, sostiene Yakubu Joseph. “La Nigeria è una terra in cui c’è moltissima povertà accanto a grande abbondanza, ci sono molte risorse naturali, ma il 70 per cento della popolazione vive ancora in condizione di povertà. La persona di colore più ricca al mondo è un nigeriano, ma sempre in Nigeria 100 milioni di persone vivono in povertà”.
La crescita economica potrà essere motivo di speranza per i nigeriani? Secondo Joseph le contraddizioni saranno ancora insanabili, se lo sviluppo economico non si accompagnerà a quello umano. La Nigeria ha bisogno di speranza, prima ancora che di un PIL in crescita. “Dobbiamo fare una distinzione fra crescita economica e sviluppo del Paese. Chiediamoci, quanti bambini riusciranno a arrivare al loro quinto compleanno? Le donne nigeriane hanno uno dei tassi più alti nel mondo di mortalità durante il parto. Nel 2012 40.000 donne sono morte dando alla luce i loro bambini: questo è un fatto inaccettabile. Un paese in crescita non dovrebbe vedere le proprie scuole distrutte da persone che sostengono che l’educazione occidentale sia qualcosa di abominevole. Perché stiamo distruggendo le scuole? L’educazione è lo strumento, l’educazione è la risorsa del paese e non il petrolio. Le risorse naturali da sole non porteranno sviluppo umano nel paese”.
Fonte: http://www.voceevangelica.ch/
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