Ogni cristiano deve desiderare ardentemente l’approvazione di Dio e per conseguirla deve essere risolutamente disposto a rinunciare alla purtroppo ambita approvazione umana. Se questo sano desiderio non giganteggia nel cuore, la vita del fedele sarà sempre un susseguirsi di mezze misure o di compromessi che ostacoleranno ogni progresso spirituale e ogni conquista cristiana.
Chi si aspetta dal cielo benedizione e giustizia, sottopone costantemente i propri desideri ed i propri stimoli al consiglio benedetto di una coscienza illuminata dalle scritture; mentre colui che ambisce il plauso o l’encomio dell’uomo, si preoccupa soltanto che i suoi desideri e i suoi stimoli siano nascosti agli occhi degli osservatori.
E’ conseguenza fatale di questa tragica realtà, che molte volte la giustizia rimane nell’ombra e l’iniquità si presenta con un ammanto di santità. Ma che importa! L’Iddio savio e onnisciente non viene ingannato dalle apparenze o dalle forme, perché Egli, come disse un giorno Samuele, non riguarda alle cose alle quali l’uomo riguarda; l’uomo riguarda a ciò che ha davanti agli occhi, ma Dio riguarda al cuore (I Samuele 16: 7).
Che importa! La preoccupazione del fedele non deve essere quella di ingannare gli uomini, di appagare la vista, di soddisfare l’udito; se le opere buone rimangono nell’ombra, se la dirittura manifestata non solo non viene riconosciuta, ma viene messa in dubbio, il cuore del fedele dove continuare con serenità a palpitare per il Signore, solo per il Signore.
Essere formalmente religiosi è facile, ma non serve a nulla; essere cristiani è eroico, ma solo ai cristiani vengono offerte le promesse della vita presente e della vita futura. Non serve a nulla dire: “Io voglio adorare il Signore!” (Matteo 2:8).
Erode face quest’affermazione un giorno per ingannare i Magi di Oriente. Egli non desiderava adempire l’impegno contenuto nelle sue bugiarde parole, ma desiderava far credere che le sue affermazioni rappresentavano i suoi sentimenti.
Possiamo tutti far professione di cristianesimo e tutti possiamo dare pubblicità, mediante le nostre parole, a quello che dichiariamo di voler fare; ma tutto ciò non serve a nulla e della nostra adorazione possono rimanere soltanto delle bugiarde parole che si levano contro di noi per giudicarci.
Non serve a nulla manifestare vivo interessamento per i poveri. (Giovanni 12:6) Giuda un giorno prese quest’attitudine nel mezzo dei discepoli del Signore. Egli non si curava realmente dei poveri: voleva soltanto conseguire i suoi fini disonesti, ma l’interessamento doveva servire di ammanto ipocrita alla sua cupidigia.
Tutti possiamo, con quella, facilità che viene dall’inferno, manifestare zelo e sollecitudine nelle opere benefiche, eppure rimanere alla fine soltanto con un pugno di parole. Se la nostra posizione s’identifica, con quella di Giuda, se noi come lui, nascondiamo dietro l’interessamento e la sollecitudine i nostri fini e la nostra cupidità, riusciremo forse a vedere le teste piegarsi al nostro passare ma non porremo delle opere nel cospetto dell’Eterno.
I Giudei un giorno manifestarono il medesimo studio e non vollero entrare nel palazzo di Pilato per non contaminarsi. Essi erano giunti sino alla soglia di quel palazzo per condurre Gesù, affinché fosse condannato dal Governatore romano, e mentre erano lì per strappare una sentenza di morte per il Cristo benedetto, sentivano ancora la necessità di salvaguardare la loro personalità religiosa.
Non e difficile ostentare; non è difficile, pur albergando nel cuore i pensieri più torvi ed i sentimenti più peccaminosi, manifestare una purità ed una santità esteriore.
Ma a che vale tutto ciò? Non sono solo parole? Chi si presenterà a Dio solo con parole e sarà approvato? Non vale dire: “Il Signore è verace e giusto e diritto in tutte le sue vie” (Matteo 22,16) I farisei e gli erodiani fecero un giorno questa pubblica affermazione: ma erano soltanto parole. Essi non volevano, come poteva sembrare, riconoscere la giustizia, la sapienza, la fedeltà del Cristo, ma soltanto cercavano di servirsi della bugiarda premessa per tentare di schiacciare il Signore.
Anche noi possiamo senza difficoltà fare pubbliche affermazioni di sottomissione ai piani, alla volontà e alla sapienza divina, ma non saranno queste soltanto parole se cercheremo di sfruttare le nostre dichiarazioni unicamente per il trionfo dei nostri piani, della nostra volontà e della nostra personalità?
A che serve ammantarsi di dichiarazioni e di attitudini esteriori, che possono si farci guadagnare la stima degli uomini, ma non possono farci ottenere la benedizione di Dio? Non è forse migliore la posizione di coloro che esteriormente possono apparire riprovevoli, ma che sono accettati dal Signore?
Di fronte ad Erode, ai Giudei, ai farisei, agli Erodiani e ai Giudei di Gerusalemme non giganteggiane forse i nomi di Pietro, del pubblicano e del Centurione romano?
Eppure Pietro disse un giorno: “Dipartiti da me perché io sono un peccatore!” (Luca 5:8).
Il pubblicano esclamò con sincera convinzione: “O Dio, sii placato verso me peccatore!” (Luca 18,13).
E il Centurione: “Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto!” (Matteo 8:6).
Prima quattro dichiarazioni di santità e di giustizia; dopo tre confessioni. Dove sono però i fatti e dove sono le parole?
Iddio ci aiuti ad essere così profondamente sinceri da abbassare la nostra personalità fino alla polvere dell’annientamento. Amen!
Roberto Bracco
Fonte: http://www.chiesadiroma.it/
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