Gesù nel Getsemani… L’agonia di Gesù

Gesù nel Getsemani

Gesù nel GetsemaniNoi sappiamo che Gesù è stato l’unica persona della storia a nascere senza peccato, a vivere senza peccato ed a morire senza peccato. Stando così le cose, come mai ha mostrato tanta angoscia, sofferenza e timore nel giardino del Getsemani? Ci sono pochi episodi nella storia umana più drammatici di ciò che accadde in quel piccolo giardino durante le ultime ore di Gesù sulla terra.
Potrebbe essere d’aiuto immaginare di trovarci lì e cercar di comprendere la schiacciante emozione che Egli ha dovuto provare.

Getsemani significa “frantoio”.
Noi conosciamo l’olio d’oliva come ingrediente per le insalate o come grasso per cuocere.
In Palestina era ed è uno dei prodotti più preziosi.
Il Monte degli Ulivi viene ricordato spesso nel Nuovo Testamento ed è intimamente connesso con la vita spirituale di Gesù.
Fu sul Monte degli Ulivi che si trovò spesso con i discepoli per parlare loro di eventi futuri, e lì, quando andava a Gerusalemme, si ritirava ogni sera per la preghiera e il riposo, dopo il lungo lavoro del giorno.

I più vecchi alberi d’ulivo, attualmente in Palestina, possono essere quelli nel Giardino del Getsemani.
Chi visita oggi Gerusalemme può guardarli, ma non può avvicinarsi fino al punto di toccarli.
Troppi curiosi hanno tentato di sfigurare questi vecchi e nodosi alberi nel desiderio di prenderne un pezzo come ricordo della Terra Santa.
Dopo la raccolta, le olive vengono schiacciate, pressate, torchiate sotto il peso di una macina di pietra rotonda che riduce il frutto in polpa e recupera il prezioso olio.

Fu nel Getsemani che la macina dell’umiliazione, della sconfitta e della morte avrebbe frantumato Gesù fino al punto della sua più grande agonia personale, un tormento emotivo è molte volte più difficile da sopportare che il tormento fisico.
Al Getsemani, il luogo del frantoio, l’angoscia mentale era così intensa che Gesù implorò il suo Padre Santo di liberarlo… ma solo se questo rientrava nella Sua volontà.
Quanto bisogno abbiamo di amici nel momento della prova!
Gesù dimostrò la sua umanità quando chiese ai suoi discepoli di stare con lui; li desiderava e ne aveva bisogno nel momento del suo più grande conflitto: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui, vegliate con me” (Matteo 26:38).

Gesù si allontanò un pò dai suoi amici (quelli che baldanzosamente gli avevano detto che l’avrebbero seguito, quelli che gli avevano detto che non l’avrebbero mai rinnegato) e si gettò a terra per pregare.
Non dovette passare molto tempo prima che i suoi amici, dagli occhi appesantiti, si addormentassero.
I sonnolenti discepoli, che avevano detto che avrebbero fatto ogni cosa per lui, non riuscirono neanche a restare desti e a consolarlo.
Mentre Gesù pregava, la sua agonia divenne grande: “…ed essendo in agonia, egli pregava sempre più intensamente; e il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue che cadevano a terra” (Luca 22:44).
Sembra ciò impossibile?

I dizionari medici descrivono questo stato come “cromidosi”, uno stato nel quale un forte stress emotivo può in effetti portare ad una espansione dei vasi sanguigni tanto da farli rompere, là dove vengono in contatto con le ghiandole sudorifere.
Personalmente, non ho nessuna capacità di comprendere una emozione così opprimente.
Gesù per tre volte pregò in questo modo: “Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi” (Matteo 26:39).

C’era una via d’uscita? Gesù poteva essere liberato dagli orrori di una simile morte, almeno per un certo tempo?
Gesù non provava piacere nell’imminente crocifissione; amava anche la vita su questa terra.
Egli gioiva nel passeggiare con i discepoli, nel prendere fra le braccia i bambini, nel partecipare alle feste di matrimonio, nel cenare con gli amici, nell’andare in barca, o nel partecipare alle attività del tempio nel periodo della Pasqua.
Per Gesù la morte è il nemico.
Quando pregava: “Se è possibile…”, desiderava avere ancora una volta conferma che la sua imminente morte era realmente volontà del Padre.
C’era un’altra strada?

Ma che significato aveva la sua richiesta: “Passi oltre da me questo calice”?
Nella Scrittura la parola calice, o coppa, è usata per descrivere in maniera figurata o la benedizione di Dio (Salmo 23:5), o la sua ira (Salmo 75:8).
Siccome Gesù non avrebbe mai chiesto di essere privato della benedizione di Dio, è ovvio che qui il suo uso della parola “calice”, o coppa, si riferisce all’ira di Dio, da cui Cristo sarebbe stato colpito sulla croce prendendo su di se il peso del peccato dell’umanità.
Per noi è una cosa inimmaginabile, il fatto che Gesù, che non ha conosciuto peccato, ha dovuto portare il peccato e la colpa di tutti gli uomini: “Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto essere peccato per noi” (2 Corinzi 5:21).

Gesù ha pagato per il peccato dell’uomo verso la giustizia di Dio.
Non esisteva altro modo per portare a compimento la volontà del Padre senza bere quel calice d’ira?
Questa era la domanda che Gesù si poneva; e in assoluta ubbidienza alla sovrana volontà del Padre, ne accettò volontariamente la risposta.
No, non c’era un’altra possibilità per un Dio giusto ed amorevole di affrontare i nostri peccati.
Il peccato deve essere punito; se Dio avesse semplicemente perdonato i nostri peccati senza giudicarli, allora non ci sarebbe stata giustizia, ne responsabilità per il male fatto, e Dio non sarebbe realmente santo e giusto.
E se Dio avesse soltanto giudicato i nostri peccati, come è giusto che fossero giudicati, allora non ci sarebbe alcuna speranza di vita eterna e di salvezza per alcuno di noi perché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:25).

Il suo amore non avrebbe saputo trovare un’altro mezzo per la nostra salvezza.
La croce era l’unico mezzo per risolvere questo terribile dilemma ed il conflitto di tutti i tempi stava per raggiungere il suo culmine.
Da una parte i nostri peccati stavano per essere posti su Cristo, l’unico senza peccato; egli sarebbe stato “rivestito” nei nostri peccati come di un abito sporco e a brandelli, e sulla croce quei peccati sarebbero stati giudicati… i tuoi peccati, i miei peccati; egli sarebbe stato il completo sacrificio d’espiazione per il peccato.
Dall’altra parte, comunque, la perfetta giustizia di Cristo sarebbe stata data a noi come un immacolato e risplendente vestito.

Il peccato è stato perciò giudicato e la giustizia di Dio soddisfatta; la porta al perdono e alla Salvezza veniva aperta, e soddisfatto l’amore di Dio: “Colui che non ha conosciuto peccato, Egli I’ha fatto esser peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21).
Anche se Gesù, nella sua umanità, ha provato in se stesso un conflitto in questa terribile situazione, alla fine ha pregato: “… la tua volontà sia fatta”.
Non si trattava di una preghiera fatta come segno di rassegnazione, ma con una voce forte di completa fiducia.
Gesù sapeva che ciò voleva significare la resa completa e assoluta alla volontà del Padre e alle necessità degli altri.

L’uomo Gesù.
Eppure, c’è lì un mistero che non possiamo comprendere pienamente.
Gesù certamente ha sperimentato la schiacciante consapevolezza del suo sacrificio inevitabile per i peccati del mondo.
Egli sapeva che questa era la sua missione primaria sulla terra, perché egli aveva detto: “Perché anche il Figliuol dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:45).
Il giardino del Getsemani è il posto dove Gesù ebbe la rivelazione di essere un vero uomo.
Si trovò a faccia a faccia con la scelta fra l’ubbidienza o la disubbidienza.

Egli non era un robot programmato ad ubbidire a Dio automaticamente; può perciò sentire simpatia per la nostra debolezza: “… perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare” (Ebrei 4:15).
Satana ha tentato Gesù durante tutto il ministero terreno, ma le tentazioni nel deserto, all’inizio appunto di questo ministero, possono scarsamente essere paragonate a quelle nel Getsemani.
Dopo tre anni di servizio disinteressato e lo stress di quell’ultima settimana, mai Gesù era stato così vulnerabile come in quel preciso momento.

Alcuni scettici hanno affermato che la sofferenza di Gesù al Getsemani è stato un segno di debolezza.
Essi sottolineano ad esempio che molti martiri sono morti senza questo intenso conflitto emotivo di Gesù.
Ma una cosa è morire per una causa, o per la patria o per un’altra persona, e una cosa completamente diversa è morire per il mondo intero, per tutti i peccati messi insieme, delle generazioni passate e di quelle future.
Gesù doveva diventare colpevole di omicidio, adulterio, truffa, menzogna, e di tutto il resto del cattivo comportamento umano.
E’ più di quanto le nostre menti limitate possono perfino comprendere.

Un critico della fede cristiana ha affermato davanti ad un consesso universitario: “Guardate a Socrate: non si è tormentato davanti all’impellente morte; stoicamente ha bevuto la cicuta, con fierezza ha tenuto alta la testa fino alla fine”.
Socrate, un grande filosofo e maestro dell’antica Grecia, ha volontariamente accettato la pena di morte per rimanere coerente con le sue convinzioni, ma egli morì solo per se stesso.
Nessun’altra morte nella storia umana può essere paragonata alla morte di Gesù Cristo.
Alcuni possono aver sofferto allo stesso modo o di più fisicamente, ma nessuno ha sofferto di più spiritualmente.
La sua battaglia contro il potere delle tenebre, nella sua essenza, ha significato anche la vittoria di Dio su Satana.
Nessun semplice uomo poteva sconfiggere Satana, solo il “Figlio dell’uomo” Gesù Cristo.

Fonte: http://www.incontraregesu.it/


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