I più recenti dati dell’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dice che tra il 2008 e il 2012, il lavoro minorile nella fascia d’età 5 – 17 anni è sceso in Asia, America Latina – Caraibi e Africa sub-Sahariana. La regione Asia-Pacifico ha visto il calo più consistente, da 114 milioni nel 2008 a 78 milioni nel 2012. Il numero dei bambini lavoratori è sceso di 6 milioni anche in Africa sub-Sahariana e in misura più modesta, 1,6 milioni, anche in America Latina e Caraibi. Eppure ancora oggi la maledizione delle risorse è una maledizione prevalentemente minorile. Almeno lo è nella regione di Marange, nelloZimbabwe orientale, dove secondo l’Irin, l’agenzia di stampa umanitaria dell’Onu che ha pubblicato il 7 febbraio un’inchiesta intitolata Zimbabwe’s misery diamonds, la perdita di terreno coltivabile e la discriminazione di genere, insieme ad altri fattori tipici di un paese impoverito, stanno costringendo molte ragazze, spinte anche dalle loro famiglie, ad abbandonare la scuola e a trasformarsi in precoci lavoratrici del sesso nei campi dei lavoratori intorno alle miniere di diamanti.
Nello Zimbabwe dell’eterno regime di Robert Mugabe l’insicurezza alimentare colpisce ancora 2,2 milioni di persone a causa delle devastanti siccità degli ultimi anni e della pessima gestione dell’agricoltura “nazionalizzata”. Anche per questo per Melanie Chiponda, programme manager del Chiadzwa Community Development Trust(Ccdt) che ha il compito di monitorare il rispetto dei diritti umani nel Marange “Il commercio di sesso, anche tra ragazze di 12 anni, è diventato un modo naturale per uscire dalla povertà per questi bambini e le loro famiglie. Lo stanno usando come un meccanismo per superare le difficoltà sull’onda degli effetti negativi prodotti dalle attività estrattive a Marange”. La scarsità di cibo e l’aumento dei livelli di povertà nelle comunità dei campi diamantiferi della provincia di Manicaland vengono, infatti, attribuiti proprio alla maledizione delle risorseche vede 7 compagnie diamantifere occupare circa 60.000 ettari di territorio peggiorando, nonostante la ricchezza che viene estratta ogni giorno dalle viscere di Marange, le condizioni di vita delle comunità locali che sono state escluse dal business estrattivo perché le grandi aziende statali e straniere che gestiscono le miniere le hanno bollate come pigre e disobbedienti.
Ma non solo. Le joint-venture minerarie hanno messo in atto una politica di confisca del bestiame che viene trovato a pascolare nelle loro concessioni e le attività minerarie hanno abbattuto intere foreste. Una vera e propria persecuzione che ha l’evidente intenzione di allontanare dalle aree delle concessioni minerarie comunità locali che in tempi di insicurezza alimentare hanno nel bestiame e nella frutta che raccolgono nelle foreste le loro ultime risorse. “Le miniere hanno portato via pascoli e terreni agricoli alla gente del posto – ha spiegato Chiponda – questo ha aumentato la fame e colpito il reddito delle famiglie, dato che le famiglie tradizionalmente vendevano parte delle loro coltivazioni e del bestiame per procurarsi il cibo e pagare le tasse scolastiche dei figli”. Il preside di una scuola secondaria di Chitungwiza, una città dormitorio a circa 30 km a sud della capitale Harare, ha spiegato all’Irin la situazione paradossale che si sta creando in un Paese che estrae diamanti e non riesce a garantire l’istruzione di base per la mancanza di fondi: “Mentre il governo ha dato la direttiva di non mandare via chi non ha pagato le tasse scolastiche, noi non abbiamo più i soldi per coprire tutti i costi”. Raymond Majongwe, segretario generale dellaProgressive Teachers’ Union ha detto all’Irin che “la mancanza di fondi per i bambini e le bambine povere richiede misure straordinarie da parte del Governo e di altri stakeholders internazionali che devono impegnarsi a mantenere a scuola gli studenti vulnerabili e le potenziali piccole prostitute delle miniere di diamanti di Marange”.
Stella Washaya, una volontaria di Marange che aiuta e consiglia le ragazze vulnerabili,ha raccontato all’Irin le conseguenze dell’esplosiva combinazione generata da povertà e assenza di scolarizzazione: “Migliaia di uomini sposati vivono in ostelli presso le miniere e le donne non sono ammesse al loro interno. Dato che la maggior parte degli uomini provengono da luoghi lontani, finiscono per ricorrere al sesso a pagamento e, purtroppo, le ragazze diventano parte di questo sporco gioco”. Le conseguenze sanitarie, oltre che psicologiche sono drammatiche. Un’infermiera di uno dei pochi centri sanitari della zona mineraria ha detto all’Irin di aver “Assistiamo almeno 20 ragazze al mese che hanno contratto malattie sessualmente trasmissibili. Gli uomini insistono per fare sesso non protetto, una tendenza aggravata dal fatto che non ci sono programmi progettati per educarli contro questa pratica rischiosa e molte ragazze hanno abbandonato la scuola a causa di gravidanze indesiderate”.
Sempre dal sottosuolo arriva una seconda maledizione minorile delle risorse che ruota attorno alla mica, un minerale che conferisce tono luccicante e luminoso ai rossetti, ai fondotinta, ai dentifrici e a molti dei prodotti per il trucco comunemente in vendita. Si tratta di un ingrediente molto utilizzato non soltanto nella cosmesi industriale, ma persino in quella naturale, con particolare riferimento al make-up minerale. La maggior parte della produzione di mica arriva però da alcune delle zone più povere dell’India e secondo un’indagine dell’australiano The Sidney Morning Herlad sembra prevedere lo sfruttamento diffuso del lavoro minorile con “bambini dell’età di 12 anni, o anche inferiore, che lavorerebbero per giornate intere occupandosi dell’estrazione in gallerie precarie, esposti a tagli, ferite e abrasioni della pelle, oltre che a malattie respiratorie anche molto gravi, come la bronchite, la silicosi e l’asma”. Per ogni chilogrammo di minerale estratto un bambino abbandona la scuola per guadagnare soltanto 5 rupie (5 centesimi di euro) un prezzo in netto contrasto con i guadagni garantiti dal commercio che la mica assicura sul mercato internazionale, che possono arrivare fino a 1.000 dollari al chilo.
L’azienda cosmetica australiana Napoleon Perdis, a cui appartengono i marchi MAC, Clinique, Bobbi Brown e Estee Lauder, ha dichiarato al Morning Herlad che meno del 10% della mica utilizzata nei propri prodotti è di origine indiana e di “non credere che i propri cosmetici possano essere associati al lavoro minorile”. Altri giganti dell’industria cosmetica però, come L’Oreal, Lancome, Redken e Maybelline, The Body Shop e Yves Saint Laurent, avrebbero rifiutato di rispondere ad alcune domande del Morning Herald riguardanti la provenienza della mica utilizzata nei cosmetici. Sarebbe dunque piuttosto difficile al momento conoscere la reale località di estrazione del prezioso minerale utilizzato in gran parte dei prodotti di bellezza che affollano i nostri bagni. Per evitare che l’estrazione della mica diventi il prezzo che i bambini devono pagare per il nostro make-up all’ultima moda è già possibile fare qualcosa. Iniziamo a leggere gli ingredienti indicati nelle etichette. La sua presenza potrebbe essere indicata con il codice CI 77019, oppure con il termine di glimmer, oltre che semplicemente con il nome mica. Proviamo a controllare?
Alessandro Graziadei
Fonte: http://www.unimondo.org/
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