Il capo del suo villaggio ha ordinato un processo e la violenza sessuale per punirla. Ora la vittima è in ospedale e ha riconosciuto i suoi carnefici, arrestati dalla polizia. Un religioso cristiano: “Per fermare le violenze bisogna cambiare la mentalità, la pena di morte non serve”.
Birbhum – Stuprata da 13 uomini del suo villaggio come “punizione” per essersi fidanzata con un ragazzo di un’altra comunità.È accaduto a una 20enne tribale del distretto di Birbhum (West Bengal) il 20 gennaio scorso, ma la notizia è stata resa nota solo oggi, dopo che i genitori sono riusciti a portarla in ospedale. La vittima è in condizioni critiche, ma stabili, e la polizia ha arrestato 13 uomini.
Tutto è iniziato la mattina di tre giorni fa, quando la ragazza ha portato il suo fidanzato nel villaggio di Subalpur per presentarlo ai suoi genitori. Secondo la testimonianza delle forze dell’ordine, il giovane voleva fare una proposta di matrimonio. A un certo punto, alcuni locali vedono la coppia e la trascinano al cospetto del morol, il capo-villaggio. Il leader tribale ordina di allestire una cosiddetta “kangaroo court”, un finto tribunale: i due vengono legati e “condannati” a pagare una multa di 25mila rupie a testa. La famiglia non può pagare, così il capo villaggio ordina agli altri locali di “divertirsi con lei”. “Gli altri abitanti – racconta la madre – hanno portato via me, mio marito e nostro figlio, che era presente. Poi hanno portato mia figlia nella casa del morol e l’hanno stuprata per tutta la notte”.
La mattina seguente gli stupratori la riportano a casa e costringono i genitori a restare chiusi dentro casa. “Dopo averla torturata – spiega la madre – ci hanno intimato di non andare alla polizia”. Dopo vari tentativi, ieri i genitori sono scappati di casa e hanno portato la figlia in ospedale. Ora è ricoverata a Suri, dove ha denunciato quanto accaduto, riconoscendo i suoi aggressori. Tra questi, anche il capo-villaggio. La polizia li ha arrestati.
Noti anche come shalishi sabhas, questi “tribunali” sono diffusi in alcuni villaggi del West Bengal. Nel 2003 il precedente governo aveva tentato di conferire loro una parvenza di legalità, limitandone le aree di competenza a dispute civili e non penali. Tuttavia, la proposta di legge non è mai stata approvata, perché vista come un modo per accaparrarsi le simpatie dei tribali sovvertendo il sistema giudiziario indiano. Per questo, nessun morol ha il diritto, né il potere, di intervenire nella vita privata degli abitanti del suo villaggio.
Dopo lo stupro di gruppo avvenuto a New Delhi nel dicembre 2012, in India si è levato un forte movimento di protesta sulle violenze contro le donne, che ha spinto il governo centrale a inasprire la legislazione per il reato di stupro, che oggi prevede anche la pena capitale. Tuttavia, secondo Dominic Savio Fernandes, presidente della Commissione per la famiglia e le donne che “l’esperienza insegna che la pena di morte non è e non può mai essere una soluzione, anche se molte persone credono che essa rappresenti un deterrente per eliminare del tutto crimini così brutali in futuro”.
Al contrario, spiegava il prelato, “va sfidata e cambiata una mentalità basata su un pesante pregiudizio contro le bambine e le donne, che ha inizio in famiglia e poi si diffonde nella società”. Come conferma quanto avvenuto a Birbhum, dove ha prevalso una mentalità tribale arcaica.
Fonte: http://www.asianews.it/
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