La voce di Dio e la fede d’argilla. Gli albori evangelici di Elvis Presley

Elvis-Presley-6001051-300x205E’ inusuale per una biografia partire dall’epilogo. Ma in questo caso partiamo proprio dalla fine: Elvis Presley il “re” del “rock and roll” morì a Memphis il 16 agosto del 1977 a soli 42 anni. I giovani americani (e non solo) persero un mito. Non vollero, però, in grandissimo numero, mancare all’appuntamento estremo: il saluto alla bara. Si stiparono attorno alla «reggia» di Elvis, chiamata Graceland, sotto un caldo torrido. Fecero confezionare corone e cuscinetti floreali dalle forme più strane. Le scritte, su esse, erano: «Il Re», «Al nostro Re», «L’Unico Re». Ben presto i fiori furono esauriti e i fioristi organizzarono due voli di aerei speciali per trasportare cinque tonnellate di fiori dalla California e dal Colorado. Molti ammiratori si gettavano a terra e, rotolandosi, urlavano per il dolore.

Il  18 agosto, il presidente degli USA, Jimmy Carter, fece una dichiarazione ufficiale in cui affermò che il Paese perdeva, con la morte di Presley, una parte importante perché Elvis era «un simbolo per tutta la gente del mondo della vitalità, della indocilità e dell’umorismo di questo Paese». Elvis, convinto del fatto che la religione fosse una sola, avrebbe gradito una cerimonia funebre nella quale si sarebbero dovuti dare il cambio un prete cattolico, un pastore protestante, un rabbino, un sacerdote induista. Negli ultimi anni portava al collo sia una croce sia una stella di Davide giustificando la cosa così: «Non vorrei essere escluso dal Paradiso per un particolare tecnico!». Il sermone funebre fu, però, tenuto da un predicatore televisivo, Rex Humbard, il quale ricordò che, in un breve incontro avuto tempo prima con Elvis, questi gli aveva confidato di ritenere imminente la seconda venuta di Gesù Cristo.

Infine, venne formato il corteo funebre. Tutte le macchine erano bianche, come aveva stabilito lo stesso Elvis. Il bianco era il suo colore preferito perché si confaceva al suo ritenersi non un semplice cantante, ma il messia del «pop». Elvis era convinto di dover svolgere una missione ben precisa: mediante la sua influenza di «divo» della musica leggera, doveva condurre i giovani sulla strada del bene e della verità; doveva sottrarli al terribile flagello, sempre più dilagante in quegli anni, della droga.

Riguardo alla sua morte, i giornali scrissero che la causa del decesso era da attribuirsi ad un infarto. Ma, l’analisi del corpo di Elvis rivelò che esso era pieno di «psicofarmaci», un eufemismo che Presley usava per identificare le sostanze stupefacenti. Al riguardo, Elvis diceva che c’era una bella differenza tra lui e i drogati: questi si inoculavano la droga per via endovenosa, lui, invece, per via intramuscolare; e la sua non era droga: erano semplicemente «farmaci», che gli rendevano più sopportabile lo stress dovuto al successo e al modo di vivere conseguenza di esso.

Questo fu dunque il suo ultimo spettacolo. Tutti lo ricordano. Ma pochi conoscono gli albori della sua carriera e il contesto nel quale si originò la passione di Elvis per la musica ed il suo talento. Pochi sanno, infatti, che Elvis nacque nel profondo Sud degli Usa in una zona chiamata, non a caso, la «cintura della Bibbia». Il “Re” del Rock da giovane frequentava una Chiesa evangelica pentecostale e la sua radice musicale fu il gospel. Da ragazzino sgattaiolava nelle chiese nere (a quei tempi un luogo proibito per i bianchi!!) per ascoltare la predicazione e la musica dei favolosi cori “black”. Oltre 100.000 ammiratori accompagnarono il loro «re», nel suo ultimo viaggio. Fu uno spettacolo impressionante, che venne ripreso anche da telecamere poste su elicotteri. Poteva non essere spettacolo anche l’ultimo viaggio del «re» dello spettacolo?

Da sempre nel Sud dell’America gli schiavi, duramente provati dalle fatiche del lavoro nelle piantagioni di cotone, trovavano rifugio nelle chiese evangeliche in cui esprimevano la loro sofferenza e voglia di riscatto con virtuosismi vocali che originarono gli spiritual, dai quali poi nascerà la musica gospel. Elvis incise, nel 1969, In the Ghetto, una canzone che canta proprio le conflittualità sociali dei sobborghi delle città americane. Il singolo fa parte di From Elvis in Memphis, LP che la rivista Rolling Stones non esitò a definire una delle più grandi interpretazioni musicali di Soul bianco. Nel 1968 in If I Can Dream Elvis si ispirò al discorso sull’uguaglianza razziale che il reverendo Martin Luther King aveva espresso solo due mesi prima in quella stessa città, Memphis, poco prima di essere assassinato: «Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una Nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere».

Elvis era nato a Tupelo l’8 gennaio 1935 sopravvissuto ad un parto gemellare ove perse il fratello. La sua famiglia era di origine scozzese ed era tra le più povere della città che l’anno successivo sarebbe stata travolta da un terribile alluvione. Gladys Love Smith e Vernon Elvis Presley erano sempre stati assidui frequentatori delle Assemblies of God in the United States of America. Elvis insieme ai suoi genitori incontrò la musica sui banchi di Chiesa. A 8 anni ricevette in regalo una modesta chitarra, con la quale imparò i primi fondamentali rudimenti musicali, osservando uno zio della madre mentre la suonava durante lo svolgimento delle familiari riunioni religiose. Successivamente, accompagnandosi con essa, cominciò ad esibirsi alla presenza dei compagni di scuola. Poi, prese l’abitudine di esibirsi anche al cospetto di amici e conoscenti, destando il loro interesse, e ottenendo un certo successo. Fu solo l’inizio….

In seguito, durante la sua carriera, salì spesso sul palco con gruppi cristiani quali “Sweet Inspiration” e “The Stamps”. JD Sumner, leader di quest’ultimi, fu uno degli amici più sinceri di Elvis. Suonava con lui proprio per portare avanti la testimonianza evangelica. Elvis credeva in Cristo e una volta un suo fan gli portò un cuscino con sopra una corona. Chiedendo cosa fosse, Elvis si sentì rispondere dall’ammiratore: «E’ per te, perché tu sei il re». Elvis gli rispose: «Non sono io il re; solo Cristo è il re.. io sono solo un cantante dalla voce dolce».

Il reverendo Rex Humbard fu il ministro di culto più vicino a Presley. Un giorno gli chiese di andarlo a trovare alla fine di uno spettacolo. Dopo il concerto, Rex andò nel camerino insieme a sua moglie per incontrare il divo. Vi trovò una persona depressa e turbata; credeva che Dio gli avesse dato la sua voce ma lottava con Lui perché aveva scelto di farlo essere quello che era. In quell’incontro, il reverendo rimase sorpreso nel constatare che Elvis conoscesse molti passi della Scrittura. Si diceva preoccupato per la seconda venuta di Cristo e per l’Apocalisse e voleva discuterne con il ministro di culto. In quella stessa occasione, la moglie del reverendo Rex lo sfidò, dicendogli che Dio gli aveva dato il compito di portare altri a Lui. Il divo non raccolse la provocazione e non decise per Cristo. Eppure, nel 1972, quando ascoltò He Touched Me, il primo grande successo del cantante e innografo gospel William (Bill) J. Gaither, volle a sua volta interpretarlo e includerlo nell’album che vinse un Grammy Award e vendette un milione di copie.

Il 10 settembre 2012 a Londra fu messa all’asta la Bibbia personale di Elvis: venduta a 74.000 euro rivelò note e appunti a mano scritti da Presley che ne era un lettore attento.

Sicuramente Elvis non riuscì mai a scegliere coraggiosamente la sua fede: negli ultimi anni della sua vita cercò “la verità” in altre religioni. Era orgoglioso del suo patrimonio ebraico, da parte di sua madre. La nonna Gladys era ebrea, motivo per cui volle che sulla sua tomba fosse posta la stella di Davide.

E’ difficile dire cosa Elvis realmente credesse. Di certo Dio gli aveva dato un dono. Una voce inimitabile che avrebbe potuto cantare – come in alcune occasioni successe – splendidi gospel e cantici evangelici. Avrebbe potuto girare il mondo cantando lodi a Dio mettendo al servizio dell’evangelismo la sua voce stupenda. Vivere una vita lunga come quella di Billy Graham, oggi 95enne. Ma l’Avversario donò a Elvis il successo e con esso gli eccessi della ricchezza che lo portarono invece in giro per il mondo e nel mondo a cantare tutt’altro. Il risultato fu visibile a tutti: una parabola troppo vorticosa che bruciò troppo velocemente un sognatore.

Articolo di Roberto Bonuglia su www.iltempolastoria.it

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