Sei arrabbiato con Dio? … o con te stesso?

images-23rgrrgrNel 1921, due giovani coppie di Stoccolma, Svezia, risposero alla chiamata di Dio di andare nel campo dimissione africano. Erano membri della ChiesaPentecostale di Filadelfia, che ha mandato missionari in diverse parti del mondo. Durante una riunione speciale sulle missioni, queste due coppie sentirono il peso di andare nel Congo belga, che attualmente è lo Zaire.

Si chiamavano David e Svea Flood, e Joel e Bertha Erickson. Svea Flood non raggiungeva nemmeno il metro e mezzo di altezza, era una cantante molto nota in Svezia. Ma entrambe le coppie lasciarono tutto per dare la loro vita per l’Evangelo.

Quando giunsero nel Congo Belga, si fecero conoscere alla stazione missionaria locale. Presero il loro machete, e letteralmente si fecero strada verso l’entroterra, infestato da insetti, del Congo. David e Svea avevano un figlio di due anni, David jr., e dovevano portarlo sulle spalle. Lungo la strada, tutte e due le famiglie presero la malaria. Nonostante ciò, continuarono ad avanzare con grande zelo, pronti ad essere martiri per il Signore.

Finalmente raggiunsero un certo villaggio dell’entroterra. Ma, per loro sorpresa, gli abitanti di quel villaggio non li vollero far entrare. Dissero a quei missionari: “Non possiamo accettare nessun bianco, altrimenti i nostri dei si offenderanno.” Così le famiglie si diressero verso un secondo villaggio, ma anche lì furono rigettati.

A questo punto non c’erano altri villaggi lì vicino. Le due famiglie, esauste, non ebbero altra scelta se non quella di sistemarsi lì da qualche parte. Così, disboscato un pezzo di terreno in quella giungla fra le montagne, costruirono delle capanne di fango, che usarono come case.

Col passare dei mesi, soffrirono tutti di solitudine, di malattia, e di malnutrizione. Il piccolo David jr. diventava sempre più debole, e loro non avevano quasi nessun rapporto con gli abitanti dei villaggi vicini.

Infine, dopo circa sei mesi, Joel e Bertha Erickson decisero di ritornare alla stazione missionaria. Cercarono di convincere i Flood a fare lo stesso, ma Svea non poteva viaggiare perché era appena rimasta incinta, e poi la sua malaria era peggiorata. Inoltre, David disse: “Voglio che mio figlio nasca in Africa. Sono venuto qui per dare la mia vita”. Così i Flood salutarono i loro amici, che rifecero la strada di ritorno di cento miglia attraverso la giungla.

Per diversi mesi Svea sopportò una febbre da cavallo. Ma durante tutto quel tempo ministrava fedelmente ad un ragazzino che veniva a trovarli da uno dei villaggi vicini. Il bambino fu l’unico convertito dei Flood. Portava della frutta della famiglia, e mentre Svea gli parlava, lui le sorrideva con semplicità.

Alla fine, la malaria di Svea peggiorò al punto che la costrinse a rimanere a letto. Quando giunse il momento di partorire, diede alla luce una bambina bella e robusta; poi, nel giro di una settimana, si trovò in fin di vita. Nei suoi ultimi momenti, sussurrò a David: “Chiamala Aina”; poi morì.

David Flood fu terribilmente scosso per la morte della moglie. Raccolse tutte le sue forze, prese una cassa di legno, e fece una bara per Svea. Poi, in una tomba primitiva fra le montagne, seppellì la sua amata moglie.

Mentre si trovava vicino alla tomba della moglie e guardava al figlio così giovane che gli era accanto, sentì dalla capanna di fango il pianto della bambina da poco nata. D’un tratto l’amarezza gli riempì ilcuore. Una rabbia spuntò dentro di lui, pagò delle guide locali e si fece portare con i suoi bambini alla stazione missionaria. Quando vide gli Erickson, arrabbiato disse subito loro: “Me ne vado! Non riesco a seguire da solo i bambini. Riporto con me in Svezia mio figlio, ma lascio qui con voi mia figlia.” E così lasciò agli Erickson Aina, affinché si prendessero loro cura di lei.

Lungo tutto il viaggio di ritorno a Stoccolma, David Flood stette sul ponte della nave, adirato con Dio.

Aveva detto a tutti che andava in Africa per essere un martire, per conquistare anime a Cristo, non gli sarebbe importato il prezzo da pagare. Ed ora era lì che tornava da uomo sconfitto e distrutto. Credeva di essere stato fedele, ma che Dio lo aveva ripagato con una completa non curanza.

Quando arrivò a Stoccolma, decise di entrare in affari per fare fortuna. Avvertì tutti quelli che lo circondavano di non nominare mai il nome di Dio in sua presenza. Quando lo facevano, si adirava al punto che le vene del collo quasi gli scoppiavano. Dopo, cominciò a bere molto.

Dopo poco tempo che se n’era andato dall’Africa, i suoi amici, gli Erickson, morirono all’improvviso (forse avvelenati da qualche stregone del luogo). Perciò, la piccola Aina fu affidata ad una coppia di Americani, delle persone molto care che conosco, Arthur e Anna Berg. I Berg portarono Aina con loro in un villaggio che si chiamava Massisi, nel Congo del nord, dove cominciarono a chiamarla “Aggie”. Ben presto la piccola Aggie imparò la lingua Swahili e giocava con i bambini del Congo.

Poiché molto del suo tempo lo trascorreva da sola, Aggie imparò a fare giochi di fantasia. Immaginava di avere quattro fratelli ed una sorella, e diede a tutti loro dei nomi di fantasia.Apparecchiava la tavola per i fratelli e parlava con loro. Poi immaginava che sua sorella stesse continuamente a cercarla.

Quando i Berg andarono in vacanza in America, portarono Aggie con sé, nella zona di Minneapolis. Alla fine decisero di rimanere lì. Aggie crebbe e si sposò con un uomo di nome Dewey Hurst, che più tardi sarebbe diventato il presidente dell’Istituto Biblico Northwest, la scuola delle Assemblee di Dio di Minneapolis.

Per Anni da Adulta, Aggie cercò di Contattare Suo Padre, ma Senza Esito!

Aggie non aveva mai saputo che suo padre si era risposato con la sorella più piccola di Svea (la prima moglie), la quale però non amava Dio. Ed ora aveva cinque figli, oltre ad Aggie: quattro maschi ed una femmina (proprio come aveva immaginato Aggie). In quel periodo David Flood era diventato alcolista e la sua vista si era sempre più indebolita.

Per quarant’anni Aggie aveva cercato di ritrovare suo padre, ma le sue lettere non ricevevano nessuna risposta. Alla fine, la scuola biblica donò a lei e a suo marito dei biglietti di andata e ritorno per la Svezia. Questo le avrebbe dato l’opportunità di trovare personalmente suo padre.

Dopo aver attraversato l’Atlantico, i due trascorsero un giorno a Londra. Decisero di fare una passeggiata, e girovagarono nei pressi della Royal Albert Hall. Con gioia scoprirono che si stava tenendo un convegno sulle missioni delle Assemblee di Dio. Entrarono, e ascoltarono un predicatore nero che testimoniava delle grandiopere che Dio stava facendo nello Zaire, il Congo Belga!

Il cuore di Aggie fece un balzo. Dopo la riunione, si avvicinò al predicatore e chiese: “Hai mai conosciuto i missionari David e Svea Flood?” Lui rispose: “Sì, Svea Flood mi ha condotto al Signore quando ero solo un ragazzino. Ebbero una figlia, ma non so cosa le sia successo.”
Aggie esclamò: “Sono io quella ragazzina! Sono Aggie – Aina!”

All’udire ciò il predicatore afferrò le mani di Aggie, l’abbracciò e pianse di gioia. Aggie potéva a stento credere che quell’uomo era il ragazzino che si era convertito con la predicazione di sua madre. Era cresciuto ed era diventato missionario ed evangelista nel suo paese, che in quel momento contava 110.000 cristiani, 32 stazioni missionarie, diverse scuole bibliche e 120 posti letto in ospedale.

Il giorno dopo Aggie e Dewey partirono per Stoccolma, dove già si sapeva del loro arrivo. In quel periodo Aggie aveva saputo di avere quattro fratelli e una sorella. Fu una sorpresa per lei che tre dei suoi fratelli vennero a salutarla all’hotel. Chiese loro: “Dov’è David, mio fratello più grande?” Indicarono dall’altra parte della sala, una figura solitaria era lì, seduta su di una sedia. Suo fratello David Jr. ormai era un uomo pieno di rughe e dai capelli grigi. Come suo padre, era cresciuto nell’amarezza ed aveva quasi distrutto la sua vita con l’alcool.

Quando Aggie chiese di suo padre, i suoi fratelli diventarono rossi di collera.  Lo odiavano tutti. Nessuno di loro gli parlava più da anni.

Poi Aggie chiese: “E che mi dite di mia sorella?” Le diedero un numero di telefono, ed Aggie chiamò immediatamente. Sua sorella rispose, ma quando Aggie le disse chi era, la linea subito s’interruppe. Aggie cercò di richiamare ma non ottenne risposta.

Dopo pochissimo tempo, però, sua sorella arrivò all’hotel e gettò le braccia al collo di Aggie. Le disse: “Ti ho sognata per tutta la vita. Aprivo sempre una carta geografica del mondo, vi mettevo sopra un’auto giocattolo, e fingevo di guidare in cerca di te.”

Anche la sorella di Aggie disprezzava suo padre David Flood. Però promise ad Aggie che l’avrebbe aiutata a ritrovarlo. Così si diressero in una zona povera di Stoccolma, poi entrarono in un vecchio edificio in cattive condizioni. Dopo aver bussato alla porta, una donna le fece entrare.

All’interno, bottiglie di liquore giacevano dovunque. E, su di un lettino, in un angolo, era disteso suo padre, l’ex missionario David Flood. Ora aveva settantatre anni e soffriva di diabete. Aveva avuto anche un attacco e le cateratte gli avevano coperto entrambi gli occhi.

Aggie cadde vicino a lui piangendo: “Papà, sono la tua bambina – quella che lasciasti in Africa.” Il vecchio si voltò e la guardò. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Rispose: “Non avrei mai voluto abbandonarti, ma non riuscivo a prendermi cura di voi due.” Aggie rispose: “Va tutto bene papà, Dio si è preso cura di me.”

Ad un tratto il volto del padre si oscurò. “Dio non si è preso cura di te!” disse con rabbia. “Ha rovinato tutta la nostra famiglia! Ci ha portati in Africa e poi ci ha traditi. Non abbiamo avuto nessun frutto lì, è stato solo uno spreco di vite!”

Aggie allora gli parlò del predicatore nero che aveva appena incontrato a Londra, e di come la nazione fosse stata evangelizzata attraverso di lui. “E’ tutto vero, papà,” disse lei. “Tutti conoscono quel piccolo ragazzino convertito. La storia è stata su tutti i giornali.”

All’improvviso lo Spirito Santo cadde su David Flood, e lui scoppiò in lacrime di dispiacere e di pentimento che rigarono il suo volto, e Dio lo ristabilì.

Poco dopo il loro incontro, David Flood morì. E benché fosse stato restaurato dal Signore, aveva lasciato dietro di sé soltanto rovine. A parte Aggie, lasciava cinque figli, tutti non credenti e tragicamente amareggiati.

Aggie scrisse tutta la storia. Mentre vi stava lavorando sopra, sviluppò un cancro. Proprio dopo averla finita di scrivere, andò a stare con il Signore.

Questo Messaggio È per Tutti Coloro Che, come David Flood, Credono di avere il Diritto di Essere Arrabbiati con Dio!

David Flood rappresenta molti cristiani di oggi. Sono stati delusi, sono abbattuti, ed ora sono pieni di rabbia nei confronti di Dio!

La Bibbia ci dà un esempio di ciò nel libro di Giona. Come David Flood, Giona ricevette una chiamata missionaria da Dio. Andò a Ninive per predicare il messaggio di giudizio che Dio gli aveva dato: La città sarebbe stata distrutta dopo quaranta giorni.

Dopo aver portato il messaggio, Giona si sedette su di una collina, aspettando che Dio iniziasse la distruzione. Però passati i quaranta giorni, non successe niente. Perché? Ninive si era pentita, e Dio aveva cambiato idea e non li distrusse più!

Questo fatto fece arrabbiare Giona che gridò:” Signore, mi hai tradito! Hai messo il peso nel mio cuore di venire qui a predicare il giudizio. Tutti in Israele lo sanno. Ma ora hai cambiato tutto senza dirmelo. Io faccio la figura del falso profeta!”

Giona si sedette sotto al sole col broncio e adirato con Dio! Tuttavia, nella sua misericordia, Dio fece spuntare una pianta per riparare Giona dal caldo: “… per calmarlo della sua irritazione, fece crescere un ricino che salì al di sopra di Giona per fare ombra sul suo capo” (Giona 4:6).

Qui, la parola “irritazione” sta per: “dispiacere, delusione”. In altre parole, Giona era irritato perché le cose non erano andate come lui aveva pianificato. Dio aveva cambiato il corso degli eventi, e l’orgoglio di Giona era ferito!

Ecco come inizia gran parte della rabbia nei confronti di Dio: con una delusione. Forse Dio ci ha chiamati, equipaggiati, e mandati, però lui può fare dei cambiamenti senza includerci nel suo piano sovrano. Poi, quando le cose non vanno come noi abbiamo pianificato, può capitarci di sentirci ingannati e traditi.

A questo punto, Dio capisce il nostro grido di dolore e di confusione. Dopo tutto, il nostro grido è umano. E non è differente da quello diGesù sulla croce: “Padre, perché mi hai abbandonato?”

Però se continuiamo a nutrire uno spirito irritato, esso si trasformerà in rabbia dentro di noi. E Dio ci farà la stessa domanda che fece a Giona: “Fai bene ad irritarti così…?” (versetto 9). In altre parole: “Pensi di avere il diritto di essere così arrabbiato?”

Giona rispose: “Ho tutto il diritto di essere arrabbiato a morte!” … Egli rispose: “Sì, faccio bene a irritarmi così, fino a desiderare la morte” (stesso verso). Ecco un profeta così contrariato, così irritato, così pieno di rabbia verso Dio, che dice: “Non m’importa se vivo o muoio! Il mio ministero è un fallimento. Tutta la mia sofferenza è stata inutile. Ho passato tre giorni e tre notti nella pancia puzzolente di quella balena, per cosa? Dio ha cambiato tutto. Ora ho tutto il diritto di essere arrabbiato con lui!”

Molti cristiani sono come Giona, credono di avere il diritto di essere arrabbiati con Dio. Pensano: “Io prego, leggo la Bibbia, obbedisco alla parola di Dio. Allora, perché mi capitano tutti questi guai nella vita? Perché non vedo le benedizioni che Dio mi ha promesso? Mi ha deluso!”

Il Pericolo Peggiore del Nutrire Rabbia e Irritazione verso Dio… È Che Potresti Oltrepassare il Punto della Consolazione!

E’ possibile che si raggiunga un punto nel quale non ti si possa più toccare. E’ un punto dove niente e nessuno può consolarti!

Geremia scrive: “…Si è udita una voce a Rama, un lamento, un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli; lei rifiuta di essere consolata dei suoi figli, perché non sono più” (Geremia 31:15).

Nel periodo che Geremia scriveva ciò, Israele veniva portato in cattività dagli Assiri. Le loro case erano state bruciate e distrutte e tutti i loro vigneti devastati. Gerusalemme fu ridotta in un cumulo di pietrisco. Tutt’intorno a loro si vedevano solo rovine e desolazione. Così Geremia usò Rachele, l’ava d’Israele, come una figura che piange, distrutta nel vedere che le portano via i suoi figli e niente può consolarla.

In effetti, Geremia stava dicendo che quegli Israeliti afflitti si erano accomodati nel loro dolore, e non potevano essere più consolati! Geremia non li poteva confortare; non si otteneva niente nemmeno parlando loro. Secondo loro, Dio aveva permesso alla cattività di sorprenderli, e perciò avevano il diritto di essere amareggiati con lui!

Eppure, è qui il pericolo: Quando conserviamo dentro di noi le nostre questioni e le lamentele per troppo tempo, si trasformano in irritazione. Poi la nostra irritazione si trasforma in amarezza. E, alla fine, la nostra amarezza si trasforma in rabbia. A questo punto, non ascoltiamo più il rimprovero. La parola di Dio non ci tocca più. E nessuno, nessun amico, pastore o coniuge, può raggiungerci. Escludiamo così tutte le maniere con le quali lo Spirito Santo possa persuaderci!

Per Coloro Che Ammettono di Essere Vicini o Di Aver Perfino
Superato il Punto di Rifiutare di Essere Consolati – C’è Una Buona Notizia!

La parola di Dio dice che c’è speranza! “Così parla il Signore: Trattieni la tua voce dal piangere, i tuoi occhi dal versare lacrime; poiché l’opera tua sarà ricompensata, dice il Signore; essi ritorneranno dal paese del nemico” (Geremia 31:16). In altre parole: “Non piangere più, non ti lamentare più. Io sto per premiarti per la tua fedeltà!”

“Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58). Miei cari, il vostro pianto e le vostre preghiere non sono state vane! Tutto il tuo dolore e tutte le tue lacrime sono state per un proposito.

Dio ti sta dicendo: “Tu pensi che sia tutto finito. Vedi solo le circostanze: fallimento, rovina, nessun risultato. Perciò dici: ‘È la fine.’ Ma io ti dico che è il principio! Vedo la ricompensa che sto per versare su di te. Ho cose buone in mente per te, cose meravigliose. Perciò, non piangere più!”

Caro santo, permetti allo Spirito di Dio di guarirti da ogni amarezza, ira, rabbia, prima che queste cose possano distruggerti! Forse vedi solo rovine nella tua vita, ma lui vede la restaurazione! Lascia che ti ristabilisca dalla desolazione intorno a te. Lui ha in mente solo cose buone per te, perché “…ricompensa tutti quelli che lo cercano” (Ebrei 11:6). Alleluia!

Testimonianza tratta da una predicazione di David Wilkerson

Fonte: http://evangelici.altervista.org

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