Elezioni Usa. Il duello Trump-Harris è anche su aborto e mondo Lgbt

Domani, 5 novembre, sarà un giorno storico – e chiave – per gli Stati Uniti d’America e, di riflesso, per il mondo. Domani, infatti, più di 160 milioni di americani saranno chiamati a votare il nuovo Presidente Usa. O meglio, dal voto dei cittadini Usa verranno fuori i 538 cosiddetti Grandi Elettori che decideranno il nome del nuovo presidente. Inutile ricordare che l’inquilino della Casa Bianca è molto di più di un capo di Stato, essendo il politico dalla cui agenda dipendono gli orientamenti e le priorità di larga parte del mondo occidentale, con conseguenti ricadute economiche e geopolitiche.

A contendersi l’elezione, come noto, sono il repubblicano Donald Trump e la vicepresidente uscente democratica Kamala Harris. Due figure ma due rappresentanti di mondi diversi – lui quello imprenditoriale, lei quello della giustizia (è ex procuratrice) e delle minoranze -, che esprimono due modi molto differenti di guardare e interpretare gli Stati Uniti. Naturalmente, Pro Vita & Famiglia non è interessata a tutti i punti dei programmi elettorali dei due candidati, mentre è interessatissima agli aspetti etici degli stessi. In effetti, sui temi etici si registra tra Trump ed Harris una differenza non da poco.

Infatti, il tycoon (che comunque, va ricordato, nel 1999 si definiva «molto pro choice») nel suo quadriennio di presidenza ha contribuito alla nomina di alcuni esponenti della Corte Suprema che nel giugno 2022 ha ribaltato la storica sentenza “Roe vs Wade” sull’aborto – cosa che ha già salvato la vita a migliaia di nascituri – , che elevava la soppressione prenatale al rango di diritto costituzionale. Ultimamente, invece, il candidato repubblicano sembra su questo argomento più cauto. «La mia opinione», ha infatti dichiarato, «è che ora che abbiamo l’aborto dove tutti lo volevano da un punto di vista legale, gli Stati determineranno con il voto o la legislazione, o forse entrambi. E qualunque cosa decidano deve essere la legge del paese. In questo caso, la legge dello stato».

Parole, quelle di Trump, decisamente caute e che forse hanno una spiegazione strategica, dal momento che ultimamente negli Usa il consenso alla disumana pratica abortista pare abbia raggiunto il 63% della popolazione. Non va tuttavia dimenticato che quello repubblicano resta il primo presidente americano della storia ad aver partecipato alla Marcia per la vita ed abbia scelto come suo vice un giovane repubblicano, JD Vance, convertitosi al cattolicesimo che, quando era stato interpellato sull’aborto perfino in caso di stupro e incesto aveva risposto: «Non credo che due torti facciano un diritto». Pure Vance, ultimamente, pare si sia ammorbidito nella sua contrarietà all’aborto, ma è plausibile che rientri tutto in una strategia.

A suffragio di questo, c’è la strategia di Kamala Harris che sull’aborto sta puntando moltissimo, arrivando a sostenere che delle donne americane starebbero perfino morendo a causa dei divieti e delle limitazioni introdotti in questi anni, soprattutto negli Stati Repubblicani, con riferimento a tale pratica. Non solo. La candidata democratica ha addirittura lanciato un suo nuovo spot pro-aborto con gli scambi del dibattito avuti con Trump su questo tema; cosa che dimostra quanto i progressisti Usa stiano investendo, anche politicamente, sul fronte abortista. Che non è neppure l’unico, attenzione, sul quale Trump ed Harris si dividono.

Un altro tema che separa i due candidati, infatti, è quello dei cosiddetti diritti Lgbt; più precisamente, da un lato Trump ha criticato certe politiche “inclusive” – sostenendo che gli uomini che “si sentono” donne non dovrebbero giocare nei tornei sportivi femminili e che l’accesso all’assistenza sanitaria a chi cambia sesso dovrebbe essere limitata – e si sta facendo sostenere (si parla di 75 milioni di dollari donati negli ultimi mesi) nella sua campagna elettorale da Elon Musk, che sui cosiddetti “baby transgender”, anche per esperienza personale («la transizione ha ucciso mio figlio», ha dichiarato) ha una netta posizione contraria. Dall’altro Kamala Harris è stata la prima vicepresidente Usa a partecipare al Pride; ed evidentemente non serve aggiungere altro.

Se infatti con Trump alla Casa Bianca, e magari con un incarico di peso ad Elon Musk, l’agenda gender subirebbe un duro colpo, con una eventuale elezione di Kamala Harris i paladini dell’ideologia fluida – che tanto male sta facendo (e ha fatto) ai giovani, come dimostra anche la testimonianza di Luka Hein – avrebbero molto, anzi moltissimo da festeggiare. Per questo, tirando le somme, ai pro life americani converrebbe dare il proprio sostegno a Trump, che certamente, per svariate ragione, non rappresenta il candidato ideale ma, altrettanto certamente, è il meno catastrofico che ci sia tra i due oggi in corsa.

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