I falsi servi dei poveri. Solo maschere e buone parole” di Davide Romano

In un mondo dove i poveri sono spesso relegati a un ruolo di mera statistica, assistiamo a una fioritura di falsi servi dei bisognosi, un’armata di benefattori mascherati da eroi della carità. Costoro si affollano sotto i riflettori, ben felici di offrirci un sorriso smagliante e una bella foto per i social, mentre dietro le quinte si muovono con la grazia di un elefante in una cristalleria. Ma, si sa, l’apparenza inganna.

In Italia, la povertà continua a colpire, con oltre 5,6 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta, secondo l’ISTAT. È un dato che fa riflettere, ma per i falsi servitori è solo un numero da citare per giustificare il loro “impegno” nel fare del bene. “Ho fame!”, dirà il povero. “Ho un like da guadagnare!”, risponderà il nostro benefattore, mentre riempie un piatto di parole e qualche briciola di buonismo.

“Non può un servo servire due padroni” (Matteo 6:24) è una frase che dovrebbe risuonare come un campanello d’allerta per chi si avvicina a questi falsi servitori. Ma, ovviamente, si sa, l’ipocrisia è un’arte che viene praticata con maestria. Fanno rumore come tamburi, proclamando la loro dedizione, ma il loro cuore è altrove. Si avvicinano al povero “con la bocca e lo onorano con le labbra, ma il loro cuore è lontano da lui” (Isaia 29:13).

Il filosofo Jean-Paul Sartre una volta disse: “L’inferno sono gli altri”, e non possiamo che concordare quando osserviamo questi “altri” che si affollano alle cerimonie di beneficenza. Vestiti di buone intenzioni e circondati da una scia di lustrini, sono pronti a immortalare il loro “buon cuore” in una foto da postare, mentre il povero, con il suo dolore, diventa solo una comparsa in un film di cui non avrà mai il copione.

E mentre parlano di altruismo, i dati ci parlano di crisi: la povertà in Italia è in aumento, con oltre 1,3 milioni di famiglie in difficoltà. I falsi servitori, però, continuano a riempire i loro contenitori di immagine e fama, deliziandosi nel fare promesse come se fossero caramelle. “Diamo, diamo!” esclamano, ma non dicono mai che la vera carità è un gesto silenzioso, non un’operazione di marketing.

Il teologo Martin Luther King Jr. diceva che “la vera misura di un uomo non si vede nei momenti di comodità e convenienza, ma in quelli di sfida e controversia.” Se solo questi falsi servi potessero sentire il peso di queste parole, forse si renderebbero conto che non è il click che conta, ma il cuore che batte nel silenzio del servizio autentico.

E così, mentre si abbandonano a questa danza di apparenza e inganno, chi paga il prezzo sono sempre i più vulnerabili. Le statistiche ci parlano di un numero crescente di persone che vivono in povertà, mentre i falsi servi continuano a distribuire sorrisi e slogan. “L’amore è una scelta”, diceva anche il filosofo Søren Kierkegaard. E la loro scelta è quella di ignorare il vero amore, per rincorrere una visibilità effimera.

In conclusione, è nostro dovere smascherare questa farsa. Non possiamo permettere che i falsi servitori dei poveri prosperino a spese della dignità di chi è in difficoltà. La vera carità, quella che fa la differenza, non si trova nei riflettori, ma nelle azioni quotidiane, lontano da occhi indiscreti. Perché, come diceva il poeta, “la verità è spesso un pacco regalo, impacchettato con cura e nascosto sotto il tavolo”.

Eppure, c’è chi è disposto a cercarla, anche tra le macerie della falsa carità. È tempo di alzare la voce, di dire basta all’ipocrisia e di riconoscere i veri servitori: coloro che operano nel silenzio, senza clamore, e che, con umiltà, si prendono cura del prossimo, restituendo dignità a chi l’ha persa.

Davide Romano

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