Ha vinto una causa per discriminazione di genere perché un’app di social media riservata alle donne l’aveva bandito dalla piattaforma in quanto un uomo. Stiamo parlando, infatti, del transgender (nato uomo) Roxanne Tickle, del Nuovo Galles del Sud, in Australia, che ha fatto causa a WGiggle for GirlsW e al suo CEO, Sall Grover, facendo leva sul fatto che, appunto perché ritenuto uomo e non donna, gli era stato impedito di utilizzare l’app nel 2021.
Ha fatto leva suI Sex Discrimination Act del 2013 che ha reso illegale, ai sensi della legge federale, discriminare una persona sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o della condizione intersessuale. Per questo quando la difesa ha sostenuto che il caso non doveva concentrarsi solo sul sesso biologico, alla fine al transgender è stata data ragione e gli sono stati quindi riconosciuti 10.000 dollari di risarcimento più il rimborso delle spese legali.
Naturalmente questa sentenza, oltre ad essere un pugno in faccia al buonsenso, apre a un pericoloso precedente. Perché di fatto legittima la presenza di uomini transgender – e in generale di chi “si percepisce donna” – all’interno di quelle categorie, di quei luoghi – anche virtuali – che sono dedicati esclusivamente al genere femminile e per questo spesso si tratta di posti delicati.
Sappiamo inoltre – purtroppo – molto bene quanto questa cultura gender sia ormai già ampiamente diffusa non solo nel virtuale. Pensiamo infatti a contesti anche molto più delicati come scuole, bagni neutri, spogliatori, nello sport e in generale anche in molti luoghi di lavoro, enti, organizzazioni. Evidentemente non ci hanno insegnato nulla i recenti casi delle Olimpiadi e Paralimpiadi, dove in alcune gare la presenza di atleti biologicamente uomini ha di fatto “falsato” le competizioni e creato vere e proprie discriminazioni rispetto ad atleti dell’altro sesso costretti a dover affrontare la competizione con persone di livello naturalmente impari.
Non dobbiamo inoltre sottovalutare che l’introduzione di provvedimenti ideologici come questo australiano – o le stesse Olimpiadi – crea disaffezione, divisioni e confusione sociale. Soprattutto nel contesto scolastico dove sono i giovani i primi a dover subire le conseguenze di tale confusione e di tale violenza psicologica che va a minare la corretta crescita psicofisica. Bagni gender, gender fluid e tutto ciò che ruota attorno a questa ideologia che lascia da parte l’unica interpretazione possibile e di buon senso, quella che fa riferimento al sesso biologico, impediscono uno sviluppo sereno per bambini e adolescenti e introducono concetti che, soprattutto i più piccoli, non sono pronti a ricevere.
Questa sentenza, quindi, non fa altro che confermarci come la dittatura ideologica gender sia servita su un piatto d’argento e si mostra in tutta la sua pericolosità perché, di fatto, prescinde dalla realtà e punisce spietatamente chi si oppone.
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