Il prigioniero politico curdo Naif Işçi, in carcere dal 2010 e ora in sciopero della fame, dovrebbe – ai termini di legge – essere già tornato in libertà. Ma la sua pena viene prolungata di tre mesi in tre mesi in quanto non si sarebbe “pentito”.
Naif Işçi lo detto chiaramente: proseguirà nello sciopero della fame (iniziato il 2 agosto) fino alla definitiva liberazione. Anche se questo dovesse comportare gravi conseguenze per la sua salute, già gravemente compromessa (a causa di un incidente e di cure inadeguate la sua gamba sinistra è diventata più corta e attualmente quasi non riesce a camminare).
Il ventottenne prigioniero curdo è in carcere da 14 anni. In teoria avrebbe già dovuto uscire in libertà condizionale, ma la sua detenzione viene ogni tre mesi (per ben cinque volte) arbitrariamente prolungata in quanto non avrebbe “espresso rimorso”.
Nel settembre 2010 era stato condannato a 24 anni per “aver commesso un crimine in nome di un’organizzazione illegale di cui non era membro”, per “aver esercitato propaganda per un’organizzazione illegale”; per aver “violato la legge su riunioni, manifestazioni e marce” e per “possesso e trasporto non autorizzato di sostenza pericolose”.
Penso sia inutile precisare che con “organizzazione illegale” ci si riferisce al Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
Successivamente, forse per la giovane età, la pena veniva ridotta a sedici anni. Tuttavia non gli viene concesso di usufruire della libertà condizionale (come stabilito dalla legislazione).
Il 1 agosto il comitato amministrativo del carcere di tipo T di Ahlat aveva rinviato ancora una volta di tre mesi la sua rimessa in libertà. Il giorno dopo Isçi entrava in sciopero della fame sostenendo (in una lettera inviata all’Associazione dei Diritti dell’Uomo- IHD) che la cosa, oltre che illegale “è completamente assurda e fondata su decisioni prese in base al loro punto di vista sulla vita”. Che si tratti di “visioni del mondo” opposte (come spesso accade tra colonizzati e colonizzatori) appare evidente. Altrettanto evidente che gli viene richiesto di rinunciare alla propria personale identità politica e culturale.
Sempre nella lettera inviata a IHD, il giovane curdo denuncia come ogni tre mesi “mi vengono poste domande che non hanno niente a che vedere con la mia situazione. Domande come: “Siete pentito?”; “il Partito dei lavoratori del Kurdistan è un’organizzazione terrorista?”; “Cosa pensate di Abdullah Öcalan?”. Il consiglio – prosegue Isçi nella lettera – agisce come un tribunale. Inoltre il direttore del carcere mostra chiaramente il suo atteggiamento ideologico, influenzando gli altri membri del consiglio di amministrazione spingendoli a dare un parere negativo”.
E ricorda che non è certo l’unico detenuto politico a versare in tale situazione. Nella prigione dove si trova attualmente “almeno altri sei”.
Gianni Sartori
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