I giorni 23 e 24 settembre scorso, si è tenuto a Bari il IX meeting nazionale di Educare alle differenze, precisamente all’Istituto Comprensivo Balilla-Imbriani. «Due giorni di autoformazione gratuita e aperta a tutti», così gli organizzatori descrivono l’iniziativa.
Lo scopo è stato quello di «dare voce a tutte le esperienze e le buone pratiche educative che escono dai confini stabiliti a priori, si sottraggono al disciplinamento e alle discipline, rifuggono le performance, si svolgono nel tempo lento delle parentesi e delle imperfezioni, curano le digressioni. Invece di rispettare confini e proporre norme di comportamento, usciamo dai bordi per disegnare liberamente, per lasciare spazio a una pluralità di modi di essere e sentire, per educare a trasgredire: fuori dagli schemi e dagli stereotipi per dare visibilità e nominare tutte le esistenze».
I laboratori sono vari, e affrontano temi diversi a seconda della fascia d’età a cui si rivolgono. Quelli rivolti ai bambini dagli 0 ai 6 anni si concentrano sulla decostruzione degli stereotipi di genere, sulla scoperta del proprio corpo e sull’analisi del consenso per “immaginare una nuova segnaletica che vada oltre le regole imposte e riparta da bisogni e desideri de* bambin*.”
Seguono quelli rivolti ai bambini dai 7 agli 11 anni e dai 12 ai 14 anni. Ai primi sono offerti dei laboratori incentrati sul discorso dell’intersezionalità, attraverso «giochi di gruppo per ragionare sulle discriminazioni e scoprire quali meccanismi si attivano quando ragioniamo per stereotipi e per acquisire gli strumenti per decostruirli in ottica intersezionale e insegnare lo stesso aə nostrə alunnə» (da notare la schwa). Mentre, con i secondi, si comincia già a parlare senza filtri di sessualità, pornografia, e gender.
È poi con i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 18 anni che ci si scatena: da «laboratori per riflettere e condividere strumenti e pratiche educative: carriera alias, benessere persone LGBTQIA+ a scuola, strategie didattiche», a «viaggi nell’identità verso l’autodeterminazione», per poi concludere “rompendo il ghiaccio” sull’educazione sessuale e affettiva.
Quindi, ricapitolando: intersezionalità, gender, sessualità, scoperta del proprio corpo, autodeterminazione, sembra che sia stato detto tutto… o quasi! Non poteva mancare il discorso sulla parità di genere e l’abbattimento degli stereotipi patriarcali, affrontato sia durante alcuni laboratori, come un box di sopravvivenza femminista e la presentazione di un «kit didattico multimediale per affrontare a scuola il tema degli stereotipi e della parità di genere», sia in due tavole rotonde intitolate “il maschile nelle relazioni educative” e “il ruolo della scuola nel contrasto alle violenze di genere”.
L’incontro era rivolto non solo alle famiglie, ma anche e soprattutto agli insegnanti, agli educatori e alle associazioni che «interpretano le differenze come valore, e non come minaccia». L’idea infatti, è che questi laboratori interattivi che si svolgono durante queste giornate, vengano poi riproposti dai docenti durante le ore di lezione, a scuola. Non a caso erano previste ulteriori attività per spiegare a queste figure come parlare agli studenti, anzi agl* student*, delle proprie esperienze di genere, o di violenza di genere, dell’inclusività e delle pari opportunità nei libri scolastici.
Tutto questo non è niente di nuovo. Già due volte dal maggio scorso, Pro Vita e Famiglia aveva segnalato un corso, tenutosi a Roma, rivolto agli insegnanti degli asili nido intitolato “De-Costruire gli stereotipi di genere” tenuto dall’Associazione Scosse. L’iniziativa era stata finanziata dal comune di Roma, come ha dichiarato l’assessore Claudia Pratelli quando è intervenuta al corso, affermando che questi temi «hanno meritato un particolare e sostanzioso investimento». Ai genitori in aula che hanno mostrato, dati alla mano, i pericoli del gender e gli esempi di Stati un tempo pionieri che ora stanno tornando indietro, l’assessore ha risposto che la scuola ha diritto di educare su questi temi, come se vivessimo in uno Stato totalitario.
Nonostante le proteste, a ottobre i corsi sono stati rinnovati. Gli insegnanti vengono così obbligati a seguire corsi di formazione per parlare ai bambini di identità di genere, di come «superare le gabbie di genere» e della necessità di mettere in discussione «un sistema estremamente binario», cioè quello che riconosce semplicemente che i bambini sono maschi e le bambine femmine.
Le minacce che arrivano dalla scuola sono sempre di più: è veramente inaccettabile che gli insegnanti e gli educatori si prendano la libertà di affrontare temi così delicati in aula, senza nemmeno informare preventivamente i genitori. Come aveva già dichiarato Maria Rachele Ruiu, membro del direttivo di Pro Vita e Famiglia, in occasione dei nuovi corsi finanziati dal comune di Roma: “Se Gualtieri e la sua amministrazione vogliono fare battaglie ideologiche e politiche le facciano all’interno delle sedi di partito, non di certo nelle classi e tra i banchi dei nostri figli più piccoli!”
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