A Bologna è stato stilato dalla vicesindaca (non possiamo permetterci “errori” proprio oggi, visto il tema) Emily Clancy, un manuale dal titolo “Le parole che fanno la differenza”, che dovrebbe fungere da guida per un comportamento più inclusivo da parte dei dipendenti della pubblica amministrazione.
Leggendo il manuale già dalle prime pagine veniamo “accolti” con una frase messa ben in evidenza: “Il gender è un concetto culturale, sociale e simbolico, non biologico.” E già partiamo bene… Dopo averci esposto in una linea del tempo la storia del colore rosa e di come sia stato associato alle donne solo a partire dagli anni ‘50 (notizie indispensabili per il buon funzionamento della pubblica amministrazione), si continua a insistere sul concetto riportato sopra.
Segue una demonizzazione del genere maschile, che viene normalmente utilizzato per rivolgersi a una pluralità di persone di genere diverso o a singole persone di cui non conosciamo il genere, e quindi veniamo istruiti con degli esempi, riportati su un simpatico sfondo giallo, in cui ci viene spiegato cosa è sconsigliato e cosa è consigliato dire. Ne riportiamo alcuni: non gli italiani ma il popolo italiano, non i fratelli ma fratelli e sorelle o sorelle e fratelli, non anziani ma persone anziane. Addirittura è sconsigliato il termine fratellanza tra le nazioni, che viene sostituito con solidarietà umana tra le nazioni, ma il peggio deve ancora venire: è sconsigliato attribuire la paternità di un’opera a un’artista donna, le si deve attribuire la maternità (che a quanto pare il PD sostiene solo quando si tratta di arte e non di bambini…).
Subito dopo si parla di utilizzo di termini neutri (invece di il dipendente che si relaziona con…, meglio dire la persona che si relaziona con…), e di termini collettivi (invece di il magistrato meglio dire la magistratura, invece di i dottori, il personale medico, e così via), per poi passare ai pronomi relativi e indefiniti: si sconsiglia di dire i dipendenti che aderiscono allo sciopero, e di sostituirlo con chi partecipa allo sciopero. Improvvisandosi esperti di sintassi, cominciano a parlare anche di parafrasi: non dite più: “ti sei lavato le mani?”, ma sostituitelo con un ben più pratico e politicamente corretto: “hai ricordato di lavare le mani?”. Nelle formule di saluto occorre evitare l’oscuramento, causato da un innocente ciao a tutti, o buongiorno a tutti, che possono essere sostituiti con dei semplici ciao e buongiorno.
In comunicazioni come e-mail, comunicati stampa, inviti e volantini invece si consiglia di utilizzare schwa e asterischi vari, per “un’amministrazione sempre più attenta e inclusiva”. Segue, per concludere, una lunga spiegazione che viene presentata dal titolo: “I ruoli professionali: due pesi e due misure”. Gli esempi proposti sono ridicoli, ne riportiamo uno: “Bella questa giacca, dove l’hai presa?”, risponde l’amico/a/*: “è fatta su misura, l’ha fatta il sarto Maria Teresa.” Questa assurdità è messa a confronto con la frase “l’avvocato Giulia Bongiorno ha rilasciato una dichiarazione”. Lascio a voi i commenti. Poi specificano però, che è valido il contrario, perché in quel caso sono “eccezioni che abbiamo assorbito senza problemi, perché non sono una novità”, quindi Luigi Rossi può essere una vittima e Federico Bianchi una pedina del gioco, ma Giulia Bongiorno non può essere un avvocato.
Viene poi consigliato di fare attenzione alle immagini che si usano: guai a raffigurare una donna che svolge lavori domestici o uomini in posizioni di comando, questi disegni vengono segnati con una vigorosa X rossa, mentre vengono approvati con una spunta verde quelli raffiguranti una donna poliziotto e un uomo delle pulizie.
Così si conclude il nostro viaggio nel mondo dove il gender è solo un costrutto sociale, il maschile è un rimasuglio del patriarcato e il genere neutro esiste anche in italiano.
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