Il riconoscimento da parte di Israele della sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale potrebbe rappresentare l’ennesima pietra tombale sull’autodeterminazione del popolo saharawi. O anche esasperare il conflitto. Dipende da come reagiranno – oltre alla comunità internazionale, al momento sostanzialmente allineata con Rabat – il Fronte Polisario e l’Algeria.
Diciamo che non me l’aspettavo. Non da Tahar ben Jelloun. Nel suo “Il razzismo spiegato a mia figlia” (Bompiani 1998), rispondendo a una sua domanda, scriveva:
“Il colonialista è razzista e dominatore. Quando si è dominati da un altro paese non si è più liberi, si perde l’indipendenza. Così l’Algeria, fino al 1962, era considerata come una parte della Francia. Le sue ricchezze sono state sfruttate e i suoi abitanti privati della libertà (…). Coloro che non accettavano quella dominazione venivano perseguitati, messi in prigione e persino uccisi. Il colonialismo è razzismo alla scala degli Stati”.
Parole sante. Ma non sembra averne tenuto conto nel suo recente articolo su la Repubblica del 19 luglio. Infatti, non nomina nemmeno il popolo saharawi e cita il Polisario soltanto come un’emanazione di Algeri. Riducendo tutta la questione dell’autodeterminazione del popolo sahrawi (e la sua lunga llotta di liberazione) ad un contenzioso tra Marocco e Algeria. Sorvolando poco elegantemente sul fatto che il Fronte Polisario aveva proclamato la Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi già il 27 febbraio 1976, alcune ora prima del ritiro delle truppe spagnole. Oltre a ignorare che le popolazione autoctone del Sāqiyat al-ḥamrāʾ e del Wādī al-dhahab (Rio de Oro) fin dagli anni trenta rivendicavano l’indipendenza dalla Spagna.
Lo scrittore nato a Fès nel 1944, sembra dare un giudizio sostanzialmente favorevole sia degli accordi di Abramo tra Stati Uniti, Israele e Marocco del dicembre 2020 (firmati da Trump e mai rimessi in discussione da Biden, sancivano la sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale), sia del recente riconoscimento ufficiale da parte di Israele. Riconoscimento che va a sovrapporsi a quello di numerosi Stati, sia arabi che africani e anche una quindicina di europei (Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Emirati, Qatar,Oman, Austria, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Spagna…).
Anche il ministro degli esteri italiano ha definito “seri e credibili gli sforzi compiuti dal Marocco” in merito al futuro del Sahara Occidentale, nonostante l’attuale capo del governo in gioventù avesse espresso simpatia per la lotta dei saharawi visitando anche i campi dei rifugiati.
Almeno stando a quanto mi raccontava Luciano Ardesi (Lega per i diritti e la liberazione dei popoli), non propriamente entusiasta di tale partecipazione.
Se gli accordi di Abramo avevano rappresentato la ripresa delle relazioni tra i paesi firmatari, il riconoscimento ufficiale da parte di Israele (con una lettera di Benjamin Netanyahu, indirizzata al re Mohammed VI e ripresa da un comunicato del gabinetto reale) della sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale rappresenta sicuramente il preludio per “l’apertura di un consolato nella città di Dakhla” (città del Sahara Occidentale che sorge in territorio sotto occupazione marocchina) dove sono già stati aperti una trentina di consolati. Non solo. Il riconoscimento alimenterà ulteriormente gli investimenti israeliani (minerari, industriali, turistici…) nelle cosiddette “province meridionali”. Dove da anni si perpetua uno sfruttamento intensivo (con l’estrazione dei minerali soprattutto – fosfati in particolare – ma anche in altri settori, come per esempio nella pesca) da parte del Marocco. Sfruttamento giudicato illegale dal fronte Polisario (definendolo semplicemente “un furto sistematico delle risorse”).
Gianni Sartori
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