Shazia Imran, quarantenne cristiana e vedova del marito – morto in circostante mai chiarite – è stata uccisa da quattro uomini, perché non si voleva convertire all’Islam e sposare Mani Gujjar. L’attivista Nadia Stephen: «Le donne appartenenti alle minoranze religiose non siano più vittime di rapimenti, stupri e omicidi solo perché si rifiutano di abbandonare la loro religione»
Lahore (AsiaNews) – Uccisa perché non si voleva convertire all’islam per sposare un uomo che aveva messo gli occhi su di lei. Quattro uomini di fede musulmana hanno rapito, violentato e ucciso Shazia Imran. La donna, quarantenne e vedova, era cristiana e il principale indiziato per la violenza, l’omicidio e il tentativo di occultamento del cadavere con dell’acido, è Mani Gujjar, pretendente, che ha provato a costringerla a convertirsi per sposarlo.
Shazia lavorava in un asilo nido alla Lahore University of Management Sciences (LUMS) di Lahore: lì avrebbe conosciuto l’uomo diventato presumibilmente il suo assassino. La sera di martedì 6 giugno a fine turno non tornata a casa. I familiari hanno cercato la donna – madre di tre figli, due maschi, Salman (16 anni) e Abrar (6), e una figlia, Aliza (7) -, ma senza successo. In ultima istanza hanno chiamato la polizia perché la famiglia di Shazia Imran è convinta che anche il marito, picchiato a morte 18 mesi fa, non sia stato aggredito da “teppisti”, come la polizia ha derubricato il fatto, ma dalle stesse persone che hanno ucciso Shazia.
L’aggressione, fino allo stupro come “metodo coercitivo” di conversione, soprattutto delle donne delle minoranze religiose in Pakistan, non è una novità. E il caso di Shazia che rdi fronte al suo rifiuto è stata violentata e uccisa ha diffuso nelle ultime settimane una nuova ondata di paura, ma anche di rabbia e proteste tra la minoranza cattolica del Paese. Anche perché i parenti hanno raccontato di come la donna avesse confidato a una cognata le pressanti minacce di Mani Gujjar per farla convertire e per sposarlo.
Dei quattro imputati la polizia ha arrestato solo Mani. Il fratello di Gujjar e due cugini che avrebbero partecipato alla violenza di gruppo e all’omicidio, sono ancora latitanti.
Si è detto preoccupato per l’episodio il presidente di Voice for Justice – il primo portale digitale in Pakistan creato per fornire assistenza legale a tutti – Joseph Jansen, che ha chiesto un’azione rigorosa contro i colpevoli: “La persecuzione delle minoranze religiose deve essere frenata il prima possibile – ha aggiunto Jansen – e le autorità dovrebbero adottare misure efficaci per garantire la loro sicurezza all’interno della società e non farli essere cittadini di ‘Serie B’. Anche perché stanno aumentando in modo allarmante questo tipo di violenze contro ragazze e donne cristiane”. Anche l’attivista per i diritti delle donne Nadia Stephen sottolinea che “le donne e le ragazze appartenenti alle minoranze religiose non dovrebbero essere sottoposte a rapimenti, stupri e omicidi semplicemente perché si rifiutano di abbandonare la loro religione”.
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