Come nel secolo scorso, l’America latina si conferma terra violata e saccheggiata dalla voracità neoliberista. Con ripetute, sistematiche violazioni dei diritti umani ai danni di indigeni ed esponenti della società civile
Quando si parla di diritti umani, democrazia o – magari alquanto genericamente – di libertà in America Latina prevale sui media la messa in discussione di regimi, veri o presunti, come Venezuela, Cuba e magari Nicaragua.
In realtà, lo hanno imparato a proprie spese attivisti per i diritti umani, sindacalisti, giornalisti non asserviti, donne, indigeni, migranti, ambientalisti…sono altri i Paesi maggiormente pericolosi. E guarda caso alcuni gravitano nell’orbita del Grande Fratello a stelle e strisce.
Fermo restando che – a parere di un gran numero di Ong – sarebbe proprio l’America Latina (condizionale d’obbligo, sempre) nel suo insieme il continente dove che denuncia la violazione dei diritti umani o difende l’ambiente corre più rischi.
Risale ai primi di giugno la pubblicazione dei dati sul 2021 raccolti dalla Commissione Interamericanadei Diritti Umani (CIDH, inserita nell’ Organización de Estados Americanos).
Documentando l’assassinio nel 2021 di circa 170 attivisti (quelli in qualche modo “certificati” beninteso, ma il numero di desaparecidos o non identificati rimane ben più consistente). Di questi 145 solo in Colombia che si aggiudica il primo posto, poco invidiabile.
Una situazione che il governo colombiano non cerca più di mascherare o minimizzare. Tanto da aver voluto rassicurare (per quanto possibile) la CIDH di mantenere attualmente sotto protezione 3.749 esponenti della società civile considerati a rischio.
Al secondo posto si collocava il Messico (dieci assassinati, in maggioranza leader indigeni e ambientalisti).
Particolarmente drammatico il caso recentemente denunciato di una madre, Ceci Flores, a cui era già stato fatto scomparire un figlio. Non aveva ancora superato il trauma, quando ad altri due suoi figli capitava la medesima sorte.
Aggiungendosi alla cifra incommensurabile di oltre centomila persone di cui non si conosce la sorte, scomparse nel nulla, presumibilmente in qualche fossa comune. Per questo si è integrata nel collettivo Madres Buscadoras de Sonora y de México, madri e sorelle dei desaparecidos che armate di pala e piccone scavano in cerca dei resti dei loro cari.
Sempre in base ai dati della CIDH,al terzo posto troviamo il Perù con cinque assassinati, seguito dall’Honduras con quattro e dal Guatemala con due.
Un Paese, il Guatemala, dove in passato si assisteva a un vero e proprio genocidio nei confronti delle etnie indigene (un totale di 25 etnie, di cui 22 di origine maya).
Come era prevedibile, la maggioranza delle vittime agiva in difesa della Terra, dell’ambiente o faceva parte di comunità indigene. Confermando che non rischia la pelle soltanto chi si espone denunciando gli abusi delle forze di polizia e dell’esercito (o delle squadre della morte, talvolta parastatali), ma anche chi semplicemente vorrebbe continuare a vivere pacificamente nella terre ancestrali in base alle proprie tradizioni e stile di vita. In questo appare evidente l’analogia con altre popolazioni indigene come gli adivasi in India o i nativi (gli “indiani”) negli USA e in Canada.
Ancor più grave il fatto che le minacce e le aggressioni non si limitano al soggetto dissidente ma coinvolgono spesso anche i suoi familiari (in perfetto stile mafioso).
E il 2022 non si annunciava migliore se già nei primi quattro mesi erano ben 89 gli attivisti ammazzati. In attesa del documento della CIDH con i dati complessivi per il 2022 non possiamo che rattristarci per questa deriva apparentemente senza fine.
Gianni Sartori
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