I bambini siriani, una generazione persa di cui nessuno parla

Syrie-300x225In Siria, più di 2 milioni di bambini sono investiti dalla crisi che avvolge il paese da oltre un decennio secondo le stime dell’Unicef e del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia in un rapporto pubblicato il 12 marzo, come precisato Anthony Lake, direttore esecutivo dell’Organizzazione. L’agenzia inoltre evidenzia alcuni problemi di natura finanziaria. Ad oggi, solo il 20% dei fondi di 195 milioni di dollari (149 milioni di euro) previsti dall’Unicef, sono finanziati dalla comunità internazionale. Questo appello è destinato a coprire i bisogni umanitari delle donne e dei bambini colpiti dalla crisi in Siria, in Giordania, in Libano, in Turchia, in Iraq e in Egitto.

Se la situazione non migliora, l’organizzazione sarà costretta a interrompere delle “operazioni che mirano a salvare vite umane in Siria”. Sarà effettivamente “incapace di rispondere ai bisogni primari dei bambini, quali accessi sanitari, campagne di vaccinazione contro la polio, interventi sui neonati e gli aiuti medici di emergenza”.

Secondo i dati raccolti dall’Unicef, l’accesso all’acqua è diminuito di due terzi nelle zone dove gli scontri si fanno più intensi, con l’allarmante risultato di patologie dermatologiche e respiratorie sempre più numerose. Una scuola su cinque è distrutta o seriamente danneggiata mentre altre servono da rifugio per alcune famiglie. Laddove si cerca ancora di insegnare, le aule arrivano anche a contenere cento persone.

Gli ospedali e le cliniche sono in rovina e il loro personale qualificato è fuggito. I bambini sono traumatizzati. Testimoni impotenti delle atrocità della guerra: membri delle loro famiglie o amici muoiono letteralmente sotto i loro occhi. Le immagini e i suoni della guerra sono ovunque. Come racconta Hassan di 14 anni: “Ero a un funerale quando ho sentito la prima bomba. Mio cugino e mio zio sono morti quel giorno. Cadaveri e feriti erano sparpagliati per terra. C’era molta gente nella moschea sono tutti morti. Avevo paura. Certo che avevo paura. Ho odiato la mia vita e mi sono odiato. Mio cugino ed io avevamo l’abitudine di fare tutto insieme ma l’ho perso”. Il piccolo Mohamed invece è stato testimone di un’altra strage: “Un massacro ha avuto luogo nel mio villaggio. Venticinque persone sono state uccise, l’ho visto con i miei occhi. Hanno utilizzato diverse tecniche per uccidere le persone: scariche elettriche, blocchi di cemento sulla testa delle persone e hanno arrestato alcune persone per torturarle in prigione”.

Dall’inizio della crisi, l’Unicef e i suoi partners hanno concentrato i loro interventi sull’approvvigionamento dell’acqua potabile e sui servizi educativi, di salute e di protezione dei bambini così come per la popolazione rifugiata in tutta la regione.

In Siria l’Unicef fa parte di una delle decine di agenzie delle Nazioni Unite che hanno aperto uffici a Damasco. Sotto la giurisdizione e la tutela del ministro degli Esteri siriano, forniscono un aiuto prezioso ma mal distribuito. I soccorsi si concentrano all’interno delle zone governative e non arrivano mai, o quasi, nella parte della Siria controllata oggi dai ribelli come Aleppo.

La situazione è delicatissima, le ONG devono assolutamente intervenire, almeno per riaffermare che il diritto umanitario internazionale deve essere rispettato. Il contesto non può cambiare dall’oggi al domani tuttavia si deve compiere il primo passo cruciale per permettere alle milioni di persone intrappolate nel territorio siriano di poter ricevere gli aiuti necessari. Più della metà sono bambini.

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